Facciamo chiarezza sulle anomalie vascolari: la parola agli Esperti – parte VII

(DAL “W ALE NOTIZIE” N°33, DEL 9 OTTOBRE 2018)

Rubrica Scientifica a cura del Prof. Cosmoferruccio De Stefano

Relazioni del Convegno “Le Patologie Vascolari Congenite: dalla diagnosi alla gestione della Malattia Vascolare rara” (Roma 10/10/2015) – Parte VII

Continuiamo la pubblicazione, già iniziata nei Notiziari n. 25,26,27,28,29,30 e 32 di quanto presentato in occasione del Convegno, con la relazione della Dott.ssa Maria Langellotti sul tema “Ruolo di Medici e Psicologi nella guida dei pazienti e familiari verso l’autonomia possibile”.

Il presente lavoro pone l’accento sull’importanza dell’acquisizione dell’Autonomia Possibile, intesa come la capacità di riconoscere e accettare i limiti di una condizione di disabilità o di una malattia. In tali condizioni, individui autonomi affrontano in modo più adeguato gli eventi della vita, grazie a specifiche e adeguate strategie di coping. I medici, gli psicologi con la famiglia e il paziente possono funzionare come “laboratori” di apprendimento per il rafforzamento di queste abilità.
Relazione
Tratto dalla guida “Verso l’autonomia Possibile per le famiglie che vivono la disabilità”, (Langellotti et al., 2010) già realizzata dalla Fondazione Alessandra Bisceglia W Ale Onlus, l’Autonomia Possibile è uno dei temi che vengono promossi con speciale dedizione dalla stessa Fondazione, ispirandosi alla storia di Ale. Affetta da una rara e gravissima malformazione vascolare, Ale ha rappresentato l’orgoglio non solo della sua famiglia, ma dei tanti che a oggi affrontano le difficoltà della vita, credendo nelle proprie capacità, nonostante i disagi e le sofferenze che malattie simili comportano. Ale è stata una donna forte, che ha saputo inseguire i suoi obiettivi con quella dose di sana caparbietà, che serve in tutte quelle situazioni che prevedono grossi ostacoli. Sulla scia dell’esempio di Ale, questo lavoro si propone di studiare l’autonomia in tutti i suoi aspetti, rivedendolo come processo, che per molti che vivono condizioni di disabilità o malattia si rivela piuttosto tortuoso e difficile. Il lavoro vuole per questo sottolineare il ruolo dei medici, degli psicologi e delle famiglie, come stimolo per la crescita di ciascun individuo in difficoltà e per il raggiungimento della massima autonomia.

L’Autonomia Possibile
Nella crescita verso l’autonomia un bambino con disabilità deve affrontare una serie di ostacoli che da un lato riflettono le difficoltà specificatamente legate al suo deficit, dall’altra gli atteggiamenti ambivalenti della famiglia e dell’ambiente di cui si circonda e che spesso purtroppo impediscono una crescita autonoma. Favorire l’autonomia non vuol dire solo aiutare la persona a muoversi o vestirsi da sola, ma anche metterla in grado di scegliere, di decidere della propria vita, di organizzarsi, di assumersi responsabilità e doveri, avere interessi per sé. Questi aspetti possono essere raggiunti solo se una persona con una condizione di malattia cronica è vista come agente attivo nel mondo e nelle relazioni che costruisce (Boyle, 2008). Il presente lavoro pone l’accento sull’importanza dell’acquisizione dell’autonomia possibile, riferendosi alla capacità di riconoscere e accettare i limiti di una condizione di disabilità o di una malattia cronica invalidante. Da alcuni studi emerge che individui più autonomi con condizioni gravi di malattia resistono e affrontano in modo più adeguato i cambiamenti della vita (Chirkov et al., 2003). Allo stesso modo, altri studi evidenziano che la speranza, l’ottimismo e il senso di auto-efficacia influiscono positivamente sul processo di acquisizione delle abilità di coping, sulla qualità di vita e sul livello di soddisfazione (Lohne, 2008). Lo sviluppo dell’autonomia è legato, dunque, a un gran senso di benessere e all’acquisizione di adeguate abilità di coping, che sono quelle strategie che l’individuo utilizza per gestire un evento traumatico, o in generale nei momenti di maggiore difficoltà. Sulla base di questa importante considerazione riteniamo che gli operatori sanitari, i medici e la famiglia dovrebbero incoraggiare e promuovere lo sviluppo delle abilità di coping al fine di favorire lo sviluppo dell’autonomia.

Fattori che incidono sullo sviluppo dell’autonomia
La condizione di malattia di un figlio non fa altro che creare sconvolgimenti e difficoltà di accettazione della nuova situazione. In tale senso, l’acquisizione delle abilità di gestione e riorganizzazione della propria vita dopo un trauma, diventa lo strumento necessario per favorire il processo di adattamento a una situazione stressante. Adeguate e efficaci strategie di adattamento consentono alla famiglia di gestire i momenti di crisi e le tensioni dovute alle difficoltà di crescita del figlio, soprattutto in condizioni di patologia. Sono alcuni esempi un atteggiamento propositivo verso la situazione problematica, gli sforzi per raggiungere uno scopo, la ricerca di aiuto, la distrazione, la ridefinizione dell’evento stressante in chiave positiva. Per contro l’isolamento, la ruminazione, la negazione e la focalizzazione sul problema trascurando le dimensioni emotive, rappresentano l’elemento di rinforzo in chiave negativa, ovvero di chiusura verso il problema, spesso anche causa di ritardi nell’intervento. Inoltre, vedere il mondo essenzialmente come fonte di soli pericoli, non serve ad altro che a rinforzare quelle strategie disfunzionali che portano all’isolamento e alla chiusura del sistema familiare. La tendenza dei genitori ad assumere atteggiamenti iperprotettivi, così come a sostituirsi nei processi di scelta del figlio disabile o gravemente malato, perché ritenuto non in grado di gestire la propria vita, sono alcuni esempi. Queste modalità non rappresentano altro che una sorta di rifiuto verso forme di apprendimento, che invece deriverebbero dallo sperimentarsi attraverso nuove esperienze di vita, sebbene queste possano comportare anche rischi di incorrere in situazioni poco piacevoli (Loxton et al. 2010). Sperimentarsi attraverso determinate scelte, considerando il rischio di incorrere in un esito positivo o negativo, significa imparare a gestirsi meglio e a capire cosa si può o non si può fare. Ciò immette la persona in un processo, definito empowerment, che innesca motivazioni, mobilita risorse e indirizza verso la costruzione di possibilità, nuove competenze e strumenti. In ultimo, ma non meno importante, tale condizione aiuta a sviluppare la resilienza, cioè la capacità di affrontare eventi stressanti, superarli e continuare ad andare avanti, aumentando le proprie risorse e competenze, con una conseguente riorganizzazione positiva della vita.

L’autonomia e il ruolo di medici e psicologi
I professionisti della salute insieme alla famiglia e al paziente possono funzionare come “laboratori” di apprendimento per il rafforzamento di adeguate abilità di coping, della resilienza e dell’empowerment. Cosa fa il medico? Innanzitutto, i medici per primi si trovano a dover affrontare una serie di difficoltà, legate al comunicare una diagnosi il più delle volte infausta, per ciò che attiene il decorso di patologie come le malformazioni vascolari. Un evento di questo tipo spesso sconvolge l’esistenza di un’intera famiglia e viene percepito come un momento altamente stressante e problematico. In sintesi, nella prima comunicazione e nella relazione che si viene a costruire gradualmente, le informazioni sono veicolate dalle parole, dai gesti, dalle espressioni e dai silenzi e comprendono le emozioni e i vissuti di ognuno. Alcuni studi indicano come il medico percepisca l’evento della comunicazione della diagnosi di una malattia invalidante come stressante e problematico, poiché non deve soltanto fornire una risposta tecnica a una domanda semplice del tipo “che cosa ha mio figlio”, ma deve entrare nella dimensione esistenziale di quella famiglia e stabilire una relazione di ascolto e di accoglienza (Orlander et al., 2002; Baile et al., 2002). In virtù di ciò, è sempre necessario partire da un buon livello di consapevolezza rispetto all’effetto che un determinato evento stressante può avere su se stessi, al fine di gestirlo al meglio ed essere pronti ad accogliere la famiglia e il paziente al momento del bisogno. Lo scopo è quello di promuovere l’autonomia possibile, consentendo al paziente di affrontare una serie di dinamiche spesso molto difficili da gestire e che richiedono sforzi per affrontare la malattia. Nello specifico il processo dell’autonomia può essere favorito dalla costruzione di un legame di fiducia e dal sostegno rivolto al paziente e alla famiglia, nella possibilità di condividere le informazioni e nel consentire al paziente di operare scelte consapevoli. Di grande importanza è l’attenzione a non assumere atteggiamenti paternalistici, che spesso rischiano di rendere dipendenti il paziente e la famiglia e bloccano il processo di scelta.
Il valore dell’informazione
La comunicazione con il paziente bambino e la famiglia è un processo di primaria importanza. Anni fa comunicare la diagnosi di una malattia grave o di una disabilità era considerato un qualcosa di inappropriato e da evitare per non creare ansia e successivo sviluppo di comportamenti problematici. Attualmente, invece, si ritiene che condividere e fornire informazioni sulla malattia possa addirittura incoraggiare la famiglia e sostenere il bambino nello sviluppo dell’autonomia. Fornire informazioni porta a aumentare la consapevolezza sulla problematica e ad ampliare la visione sulle strategie di risoluzione e di gestione della situazione difficile. Di fronte alle malattie croniche progressive è più difficile comprendere con esattezza il futuro del figlio, è una realtà che va scoperta lentamente affinché ci possa essere un graduale adattamento (Chiuchiù, 2004).

Promuovere scelte consapevoli
Il medico, in generale, dovrebbe consentire al paziente di sviluppare la capacità decisionale, raggiungendo un accordo sui piani di trattamento e sui problemi emergenti. Siamo nella fase della riorganizzazione, in cui i genitori sentono che è il momento di iniziare a fare qualcosa per il proprio figlio. In questa fase è necessario che il medico possa aiutare i genitori a intravedere quello che possono fare e a sentirsi in qualche modo utili. È importante poter condividere idee e decisioni sulla malattia e sulle possibilità di trattamento, evidenziando le potenzialità del bambino e individuando i possibili progetti educativi e riabilitativi (Larry, 2008). Una collaborazione attiva, serve a ridurre il senso di frustrazione nei genitori e sottolinea le risorse del bambino, aiutando in questo modo i genitori stessi a osservare il loro figlio come una persona che si muove attivamente e che può fare nonostante tutto. Studi sulla qualità della relazione medico-paziente ci dicono che un atteggiamento paternalistico potrebbe rendere il paziente passivo rispetto al trattamento e in questo caso il rischio sarebbe che il medico prenderebbe qualunque decisione al suo posto, venendo meno la possibilità di acquisire l’autonomia (Charles et al., 1999; Kristi & Kirschner, 2015). Sulla base di questa considerazione, altri studi promuovono una relazione alla pari tra il medico, il paziente e altre figure sanitarie, evidenziando maggiore soddisfazione nei pazienti e una migliore gestione della problematica (Glaslow, 2003; Verkaaik, 2010). Dall’analisi di queste ricerche emerge che una relazione meno direttiva possibile tende a promuovere lo sviluppo della capacità decisionale, elemento essenziale per favorire l’autonomia.
Cosa fa lo psicologo? Ciò che fa particolarmente paura di una malattia cronica e rara sono le molte incognite. Convivere con l’incertezza è un aspetto della malattia. Come altre patologie importanti, anche queste influenzano il clima emotivo di tutta la famiglia e del paziente stesso, benché per alcuni mostrare i propri sentimenti sarà più difficile che per altri. Vivere con una malattia rara, come una malformazione vascolare, può avere implicazioni in diversi ambiti della vita quotidiana, nella scuola, nella scelta della professione, nel tempo libero con gli amici e nella vita affettiva, per questo è sempre auspicabile un adeguato supporto psicologico al fine di poter gestire e affrontare al meglio le difficoltà a cui si andrà incontro. Il lavoro psicologico prevede un’attenta valutazione dei livelli di difficoltà e dei rischi e un bilancio delle risorse che il paziente e la famiglia dispongono, al fine di migliorare la qualità di vita, il livello di partecipazione e la capacità di autodeterminazione. È utile sapere che spesso le associazioni di pazienti offrono assistenza psicologica e ascolto per le persone affette da specifiche patologie e per i loro familiari. La nostra Fondazione a esempio prevede un’area psicologica proprio per i pazienti affetti da malformazioni vascolari congenite e per le loro famiglie. I nostri servizi offrono colloqui individuali e di gruppo (parent training) a seconda della propensione dei pazienti e delle stesse famiglie, e spesso i primi colloqui si affiancano a visite mediche specialistiche, strutturati in un lavoro di rete e di forte collaborazione con l’intera equipe. Gli obiettivi sono:

1) Promuovere nei pazienti e nei familiari, il coinvolgimento, il riconoscimento emotivo e l’assunzione di responsabilità;
2) Favorire la mobilitazione delle risorse relazionali dei pazienti e dei genitori e, se presenti dei fratelli per il potenziamento e il mantenimento delle abilità del paziente e per la prevenzione delle difficoltà;

3) Potenziare le competenze sociali del paziente;

4) Aumentare il livello di fiducia in sé stessi e l’autostima;

5) Rinforzare la rete di collaborazione tra i professionisti sanitari, la famiglia e le Istituzioni.
Riflessioni conclusive
I medici insieme alla famiglia e al bambino, devono poter creare una stretta collaborazione ai fini di un contesto di cura più produttivo. Essi dovrebbero condividere le tappe della malattia e le decisioni in merito. Da alcune ricerche emerge che, grazie a una stretta interazione con le figure sanitarie, gli individui acquistano più autonomia e si impegnano maggiormente nei processi di intervento (Verkaaik, 2010). Il modo in cui viene comunicata una diagnosi rappresenta, inoltre, il punto di partenza per stabilire una buona relazione con il paziente e con la famiglia. Spesso dare troppe informazioni in maniera tecnica non serve, ricordiamo che la famiglia in quel momento ha bisogno soprattutto di essere sostenuta emotivamente e un atteggiamento di vicinanza potrebbe essere sicuramente più vantaggioso.

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