(dal notiziario “W Ale Notizie” n°20, del 1 luglio 2015)
di Afra Fanizzi
“Per aver rilanciato l’esigenza di proteggere la dignità del malato, attraverso la narrazione di una forte e coinvolgente esperienza personale”. È questa la motivazione che ha permesso a Gabriele Giuliano, studente del quinto anno del corso di laurea in Medicina e Chirurgia all’università Cattolica del Sacro Cuore, di vincere il premio dedicato ad Alessandra Bisceglia nell’ambito della Giornata del sollievo, consegnatogli da Roberto Giacobbo e Samuela Sardo.
Il 31 maggio, infatti, il vincitore è stato premiato al Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” dove, come in altri 190 ospedali italiani, è stata celebrata la domenica del “Sollievo”. Una Giornata, la quattordicesima, davvero particolare per tutta la comunità del Gemelli dove tanti amici, soprattutto artisti e volti noti del mondo dello spettacolo, hanno trascorso insieme ai degenti, ai loro familiari e personale sanitario dell’ospedale momenti di spensieratezza, ma anche riflessione sui temi dell’affrancamento dal dolore fisico e morale. E questo è il motto della Giornata nazionale del Sollievo, promossa dalla Fondazione nazionale Gigi Ghirotti con il patrocinio del Ministero della Salute e della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e con il sostegno della Pastorale della Salute della CEI, che ogni anno parla di una realtà ospedaliera diversa, in cui è possibile vivere una vita normale. “Angeli custodi” è il titolo del testo del vincitore della sezione “università” che attraverso un’esperienza personale vissuta da Gabriele, racconta un viaggio al termine del quale qualcosa cambia. Un viaggio fra chi soffre, fra chi ha bisogno di una parola, di un gesto e chi riesce a donare e a farlo con il cuore partendo da un’esperienza professionale. Insomma, un confine, quello fra professione e vita personale che si fonde e va oltre il semplice rapporto fra medico e paziente. L’ospedale San Giuseppe Cottolengo di Torino è lo scenario del racconto e la residenza “Angeli custodi” è quella dove soggiornano i malati più gravi. I volti, le parole, i silenzi acquistano un nome e tutto recupera lentamente il significato di un rapporto profondamente umano, fatto di gesti mirati, di attenzioni costanti e tangibili. “Nello stare insieme quotidiano – si legge ancora nella motivazione – il rapporto interpersonale cresce, tocca le corde del cuore e diventa volano di amore reciproco, di un dare e ricevere che la sofferenza non azzera. È così che il motto della “Piccola casa della Divina Provvidenza” diventa drammaticamente vero: “Entrate a cuore aperto, vi entreremo nel cuore”.