“A., la prima volta che l’ho incontrata, è stata una dirompente forza magnetica, inevitabile scegliere di aiutarla… la nostra convivenza è stata una ricchezza… per tanto tempo A. è stata un vanto…
Mi piaceva pensare che nel suo percorso a ostacoli dentro una metropoli di barriere avevamo fatto una tappa assieme… “Sono stata le sue gambe” mi sono detta spesso… Ma non sapevo, lo so ora, che non ero io a prestarle il passo, ma lei parte della forza su cui camminavo e cammino…
A. più che un vanto è un privilegio.. Ed è presente: in questo momento è nella lacrime che non trattengo, nei ricordi che non afferro. Ma c’è: dentro è più prepotente della bara che ho visto… dentro ancora m’impone la sua regola non scritta, e cioè che la vita, in qualsiasi forma, è un scommessa e val la pena puntare.. A. è futuro. È nella mia voglia di diventare una donna migliore, una giornalista migliore (brava e sensibile quanto lei), una figlia e un’amica migliore.” (dalla testimonianza di C., amica di A.)
“La vita è una scommessa e val la pena puntare!”: è da questa frase che vorrei partire per raccontarvi la storia di A.. Non è stata mia paziente e non ho avuto la fortuna di conoscerla, ma la sua storia ha influenzato anche me.
Entrare in contatto con la storia di A. è stata una delle esperienze più formative ed “emozionalmente correttive” per me stessa e per la mia professione.
A. è nata con una malattia molto rara, cronica ed invalidante, che l’ha accompagnata per tutta la vita, ma che non l’ha mai fermata.
Quella di A. è una storia di resilienza, perché di fronte ad ogni ostacolo, ad ogni caduta, ad ogni nuovo colpo inferto dalla malattia, ha sempre reagito con la sua arma vincente: il suo sorriso.
A. è la bambina che, nonostante le oggettive difficoltà provocate dalla sua malattia, riesce ad imparare ad andare in bicicletta, a sciare, grazie alla sua ostinazione e al suo desiderio di vincere ogni piccola/grande battaglia. Io, alla sua età, ma con tutte le facilitazioni che un corpo “sano” può dare, mi sono arresa alla prima caduta dalla bici.
A. è l’adolescente che, a 14 anni, oltre a fare i conti con i cambiamenti fisiologici del proprio corpo, dovuti alla maturazione sessuale, con le prime cotte e le prime vere amicizie, si è ritrovata a dover accettare una odiosa sedia a rotelle e il fatto che non avrebbe più potuto camminare come prima, a causa di una caduta e delle relative complicazioni legate alla sua malattia.
A. è la studentessa universitaria che ha avuto il coraggio e la determinazione di andare a vivere da sola in una grande città, accudita da “estranei” e non più dalla sua famiglia, nonostante le sue condizioni di salute richiedessero un’assistenza continua.
A. ha dovuto affrontare diversi ostacoli nella sua vita: e non parliamo di eventi e cambiamenti normativi e prevedibili, che tutti potremmo affrontare in modo più o meno resiliente e funzionale. A. ha dovuto affrontare e superare eventi straordinari e cambiamenti invalidanti, legati al progredire della sua malattia. Sapeva che non c’era possibilità di cura e che avrebbe dovuto conviverci.
Avrebbe potuto arrendersi tante volte, crollare, lasciarsi andare.
Dal punto di vista psicopatologico, lei sarebbe stata considerata un soggetto con altissima vulnerabilità ed innumerevoli fattori di rischio per lo sviluppo di depressione, ansia generalizzata, fobia sociale, attacchi di panico. Eppure niente di tutto ciò l’ha mai sfiorata.
Può definirsi resilienza tutto ciò? Credo proprio di si!
Senza saperlo, A. ha messo in campo delle abilità per il cui potenziamento, in campo psicoterapeutico, sono stati messi a punto dei veri e propri training per aiutare i pazienti a sviluppare certe skills, per avere un approccio più funzionale ai problemi che causano loro sofferenza.
Il primo passo compiuto da A. è stato sicuramente quello di accettare, in modo attivo e propositivo, la sua condizione, indubbiamente grazie anche al sostegno e all’amore della sua famiglia, che, a sua volta, ha dovuto accettare tutta la situazione.
Il secondo passo è stato quello di conoscere il mostro contro cui doveva a volte combattere, a volte convivere, per trovare il proprio modo di affrontare tutto quello che la malattia comportava.
Ha messo in campo, poi, la sua creatività per trovare soluzioni appropriate e personalizzate alle difficoltà quotidiane. Ha “accomodato” se stessa, numerose volte, alla realtà che cambiava e che, per lei, non era mai veramente prevedibile. E, soprattutto, non ha mai smesso di progettare, di volta in volta, i piccoli/grandi traguardi da raggiungere, di sognare e agire per realizzare quei sogni.
Tutti questi passaggi lei li faceva ogni giorno!
L’intera vita di A., le sue sfide quotidiane, sono un esempio di resilienza.
Ma non è ancora tutto!
La vera resilienza di A. sta anche nel messaggio che lei ha lasciato. Nonostante le difficoltà che doveva affrontare ogni giorno, lei era sempre la ragazza, dal sorriso contagioso e luminoso, che spronava gli altri, li incitava a fare del loro meglio, a non piangersi addosso, a trovare una soluzione a tutto, a scommettere sulla vita, anche quando le probabilità di perdita erano maggiori di quelle della vittoria. A. è riuscita a realizzare il suo progetto di vita, diventando una giornalista professionista, apprezzata e conosciuta, un’autrice televisiva e, sicuramente, da questo punto di vista, è la dimostrazione del fatto che nella vita tutto è possibile, nonostante le difficoltà, quando si mettono in campo le proprie risorse, con impegno e determinazione. Questo non deve far pensare che A. non soffrisse, o che negasse il suo dolore. Lei lo sentiva, ogni giorno, ogni volta che si presentava un nuovo problema, e l’ha colpita profondamente dover rinunciare all’autonomia per affidarsi ad una sedia a rotelle. Ma lei non lasciava mai che quel dolore prendesse più spazio e potere di quel che doveva: sapeva ascoltarlo, per poi metterlo in un cassetto della sua vita e passare oltre. A. chiedeva la stessa cosa agli altri, incitandoli a reagire, come faceva lei ogni giorno.
L’eredità di A. è ciò che ha lasciato in tutti quelli che ha incontrato: ha insegnato la resilienza a chi era disperato, a chi avrebbe voluto arrendersi e, grazie a lei, non l’ha fatto; ma anche alla sua famiglia, ai suoi genitori in primis, ai quali ha dato la forza e il coraggio di affrontare ogni visita e/o trattamento a cui lei doveva sottoporsi e, alla fine, anche la sua morte.
La resilienza, in ambito psicologico, può definirsi come la capacità di affrontare, resistere e riorganizzare in maniera positiva la propria vita dopo aver subito eventi particolarmente negativi e traumatici. Una malattia grave, rarissima e fortemente invalidante, dal punto di vista fisico, sicuramente rientra tra gli eventi negativi straordinari in cui si richiede un’enorme dose di resilienza. E per A. la resilienza era una cosa naturale, faceva parte di lei, ed è questo il motivo per cui è riuscita a trasmetterla a così tante persone.
Me compresa, anche se non l’ho conosciuta. A. non è stata mia paziente; anzi, forse, anche se indirettamente, sono stata io, ad un certo punto della mia vita, ad avere bisogno di una prospettiva diversa e la sua storia me l’ha data. Alla fine dei conti, tra me e A. si è instaurato un rapporto terapeutico, ma ero io, quella dall’altra parte della scrivania, ad aver bisogno di un esempio di resilienza.
Come diceva lei “La vita è una scommessa…e vale sempre la pena puntare”: se va bene, vinci e sei felice; se va male, ed è normale che succeda, cadi, ti arrabbi, ti rialzi, analizzi cosa è andato storto e ci riprovi. Non importa quanti tentativi bisogna fare, ciò che conta è quel che di nuovo si impara ad ogni tentativo e, soprattutto, non arrendersi.
La forza e la determinazione di A., quando era in vita, è stata talmente dirompente da divenire contagiosa per chiunque l’abbia incontrata. In particolare, dopo la sua morte, amici e parenti hanno voluto investire le proprie forze e la propria passione in un progetto di resilienza, per fare in modo che il suo esempio stimoli, chi soffre, a reagire e ad agire di fronte alle difficoltà.
“ Cara A.,
sono ormai tredici anni che la Fondazione, nata nel tuo nome e voluta dai tuoi amici e dai tuoi cari, coniugando ricordo e impegno sociale, si propone di “attutire” negli altri le difficoltà che tu e i tuoi genitori avete incontrato nel breve ma intenso percorso di vita.
Abbiamo cercato di dare forza e continuità alla tua grande generosità e determinazione, ereditando la tua lezione e la tua sfida: andare avanti e fare in modo che le situazioni peggiori si tramutino, in qualche modo, in occasioni straordinarie di vita, di sostegno e di speranza proprio come hai fatto tu, cara A., e così ciò che hai realizzato, ciò che hai dato, ciò che sei stata, resta e ci invita ad andare avanti trovando quotidianamente nuove forze ed energie affinché il “fare”, per sé e per gli altri, superi, o almeno attenui, la sofferenza legata alla malattia donando segni concreti a tutti coloro che lottano e soffrono ma non rinunciano a cercare percorsi di senso nella propria vita e a viverla pienamente nonostante le difficoltà
Questi tredici anni sono stati ricchi di pazienti e di storie, abbiamo incrociato altri dolori ma anche tante speranze e tanti nuovi amici che hanno aderito a questo progetto creando una vera rete di solidarietà.
A., con la tua tenacia e determinazione hai realizzato il tuo sogno e sei diventata una giornalista professionista affermata, di grandi capacità umane, perché per te “scrivere” non era “lavorare” “guadagnare”… scrivere era forza ed energia che si trasformano in parole, era adottare nuove formule per denunciare vecchi problemi, era pescare nella cesta delle parole, far riflettere e sorridere, aiutare il prossimo a capire, aiutare te stessa a vivere meglio.
Per far proseguire questo tuo sogno, i tuoi colleghi ed amici hanno voluto istituire un Premio Giornalistico, sulla comunicazione sociale, a te dedicato cercando di stimolare anche il giornalismo a mettersi dalla parte di chi troppo spesso è fuori dai coni di luce.
Sei stata unica in tutto A… continueremo il nostro lavoro incoraggiati dalla tua presenza leggera e dal tuo sorriso foriero di positività e coraggio…sostenendo, guidando, accompagnando…
GRAZIE A.!”