Jennifer, la ragazza sorda che si muove a suo agio in discoteca e nei social.
Simonluca, romanziere fantasy con distrofia muscolare.
Nonno Antonio che a Napoli non molla mai suo nipote Genny, chiuso in se stesso.
La vendemmia in Campania dei “divinamente abili”.
Tutte storie finite sul podio del Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia, che il prossimo anno accende la decima candelina. E ci sarà, a settembre 2026, abbinato alla premiazione, un convegno con protagonisti speciali: alcuni dei vincitori degli anni passati racconteranno cosa significa per loro fare il giornalista e, soprattutto, farlo in un campo difficile e poco battuto come quello sociale.
I vincitori – ma tutti i giovani (qualche centinaio) che hanno preso parte al Premio – sono la ricchezza di questa iniziativa. Giovani che, nonostante il settore e la professione attraversino una profonda crisi, hanno deciso di fare i giornalisti, di immergersi nella realtà e cercare di spiegarla. Una passione civile, che oggi non promette né alte remunerazioni, né viaggi esotici, né facile fama. Un sostegno alla democrazia e all’attenzione verso gli altri, in un periodo storico molto orientato sui destini individuali, il profitto, lo scarso rispetto per fragili e umili.
Il Premio nasce nel 2011, nel nome di Alessandra Bisceglia, quando già esisteva la Fondazione a lei dedicata. Ale è volata via a 28 anni, il 3 settembre 2008, dopo aver convissuto con una rara malattia vascolare. Si è laureata, è diventata giornalista -così come fortemente voleva- ed è andata avanti con energia, determinazione, anche allegria. I suoi genitori, i suoi due fratelli e un gruppo di persone che l’hanno conosciuta e amata hanno deciso di promuovere un Premio Giornalistico sulle malattie rare, l’accesso alle cure, la disabilità, l’integrazione (o l’esclusione), la diversità. Premio dedicato a giornalisti sotto i 35 anni, presente e futuro della professione.
Prima edizione con cerimonia finale a Potenza, nella regione che ha dato ad Alessandra i natali. La seconda attende qualche anno, 2017 e si conclude, come le successive, nell’Aula magna dell’Università Lumsa di Roma, dove Alessandra ha studiato.
Nel corso degli anni il Premio è cresciuto, ha trovato un suo spazio specifico, grazie all’età dei concorrenti e all’ottimo livello dei lavori. Caratteristica generale: riuscire a parlare di argomenti e storie complicate, faticose, talvolta miracolose, con tono pacato, asciutto, senza retorica e senza falsa comprensione. Giornalisticamente, si potrebbe dire, nel senso del giornalismo come dovrebbe essere. E spesso la giuria ha l’imbarazzo della scelta per la selezione scelta dei migliori. Sport e disabilità, hate speech (anche quando coinvolge personaggi come Trump, Vannacci, Venditti), PizzAut, pizzeria condotta da ragazzi con autismo, l’attendibilità delle fiction su medici e medicina, la storia di Armida che a 60 anni va a vivere con la coetanea Melania, dopo una vita passata in strutture psichiatriche, il treno ricostruito in una stanza a beneficio dei malati di Alzheimer, i “farmaci orfani”, che non vengono prodotti perché servono a malattie rare: sono altri esempi di scritti, video e audio che hanno ottenuto i primi posti.
Il Premio ha attribuito negli anni anche alcuni “Riconoscimenti speciali” a trasmissioni, media o rubriche che hanno trattato con continuità gli stessi temi: fra gli altri, sono andati a “Reti solidali”, “Vino nuovo”, “Bandiera Gialla”, Fatto quotidiano, “O anche no”, Radio3 scienza, “RaraMente”, Fanpage, “Siamo noi” di Tv 2000, “Sportello cancro” di corriere.it.
A partire dalla V edizione la cerimonia di premiazione è stata preceduta da un convegno con crediti di formazione per i giornalisti, dove si sono discusse questioni di stretta attualità: da “Andare, vedere, ascoltare. Nuovi linguaggi e nuove forme di giornalismo al servizio del sociale”, a “Fragili più fragili. Raccontare le malattie rare al tempo della pandemia e della guerra”, a “Il giornalismo e le grandi paure. I media tra allarmismo e corretta informazione”, a “Giornalismo e Intelligenza artificiale: raccontare la malattia e la ricerca”, a “Raccontare la diversità nell’era di Trump: cancellazione o resistenza?”.
Ai convegni hanno parlato nomi illustri come Ferruccio de Bortoli, già Direttore del Corriere della Sera, Marcello Cattani, Presidente Farmindustria, Roberto Natale, Consigliere di amministrazione Rai, la giornalista e blogger (“Diversamente Aff-abile”) Fiamma Satta, Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, Lucia Goracci, inviata di guerra Rai, Vincenzo Morgante, Direttore Tv2000, Roberto Giacobbo, conduttore tv.
La IX edizione è stata la prima senza Antonio Morelli, Capo ufficio stampa di Farmindustria, presenza discreta e fondamentale. A suo nome è stato istituito un riconoscimento speciale permanente.
Dalla IX edizione è stata cambiata la forma del Premio che prima si divideva in tre sezioni – carta stampata, tv e web. Ora le categorie sono due e non riguardano più il mezzo di diffusione: giornalisti professionisti, praticanti collaboratori e freelance e studenti dei Master e delle Scuole di giornalismo riconosciute dall’Ordine professionale. Possono concorrere i servizi in lingua italiana pubblicati su quotidiani, agenzie di stampa, settimanali, periodici, testate e siti on-line e servizi e rubriche radiotelevisivi, podcast e multimediali sul web, foto e graphic novel di carattere giornalistico.
Nella VII edizione due vincitori dei precedenti Premi sono stati fra i relatori del convegno: Giorgio Saracino è intervenuto su come si lavora con il telefonino (“molto meglio della telecamera per entrare in sintonia con le fonti”) e Ilaria Beretta ha illustrato il suo podcast “Le notizie della Illy”, rassegna stampa per i bambini.
Dal buon risultato di questi inviti nasce l’idea per il convegno del decennale, che sarà animato da un drappello di giovani vincitori del passato: potranno fare il punto sul loro lavoro, spiegare soddisfazioni e criticità. Saranno anche pronti per settembre 2026 i risultati di un sondaggio svolto fra i partecipanti alle varie edizioni dei Premi, diventati ormai una comunità.
Andrea Garibaldi