Intervista a Elisabetta Invernizzi

Elisabetta Invernizzi, nata a Como nel 1987 è la protagonista della nostra prossima intervista e ci rcconta: “Giornalista iscritta all’ordine della Lombardia, sono una giornalista professionista freelance: scrivo per Huffington Post e per la redazione milanese de La Repubblica. Mi occupo di cronaca, sociale, approfondimenti e inchieste. Ho scritto per Corriere.it, Il Venerdì di Repubblica, La Stampa e Lettera Donna.”

Questa giovane giornalista ha risposto così alle nostre domande:

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
Ogni articolo, per me, è una sfida. Quando metto il punto alla fine di un articolo, la prima domanda che mi faccio è: sono riuscita a trasmettere l’anima della persona che ho intervistato? La sfida diventa ancora più grande quanto più il tema è specifico perché obbliga il giornalista a immergersi in un mondo che magari non conosce, o conosce poco, a farlo suo e a trovare le parole giuste per raccontarlo al pubblico, che deve essere il più ampio possibile. Tradurre questo mondo significa, il più delle volte, semplificare cercando però di tenere insieme tutta la sua ricchezza, e senza mai sconfinare nell’inesatto.
Ma sfida è stata anche trovare un articolo da candidare per questo premio: ripercorrendo l’elenco dei pezzi scritti nei mesi scorsi, mi sono accorta di averne trovati pochi adatti. E sfida sarà, allora, scrivere di più, in futuro, su questo tema.

Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
Senz’altro. Più sui periodici che nei quotidiani. E con evidenti differenze tra le varie testate dettate dalla politica delle stesse. Ci sono testate tradizionalmente più sensibili ai temi sociali e quindi più inclini, per vocazione, a diffondere una certa cultura della solidarietà. E altre che il sociale non ce l’hanno nel DNA e si limitano dunque a comunicazioni di servizio, o poco più. In generale, penso che l’attenzione sia cresciuta nel tempo, in concomitanza anche all’evoluzione del terzo settore, che rappresenta una fetta importante dell’economia del nostro Paese. Ora la sfida non è solo quanto se ne parla, ma come. E lavorare per diffondere e stimolare una corretta informazione.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Le parole, come diceva Nanni Moretti in un vecchio film, sono importanti. E, aggiungeva, bisogna trovare quelle giuste. Per il giornalista questa è una regola d’oro: deve scegliere le parole giuste per ogni contesto e per il pubblico al quale si rivolge, in un’opera di continua mediazione tra i tecnicismi e le parole di uso comune. Con un unico obiettivo: arrivare a tutti.

Le notizie devono essere sempre nuove?
In un quotidiano la regola vuole questo. Ma il giornalismo, per fortuna, è anche altro. Sempre nuovo deve essere allora, secondo me, lo sguardo del giornalista sulle cose. Un tema di per sé può anche non essere inedito, ma il buon giornalista sa trovare spunti diversi per attualizzarlo o per raccontarne le diverse sfaccettature, e offrire così strumenti critici e sempre nuovi stimoli al pubblico per interrogarsi su ciò che lo circonda.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Le testate sono dei prodotti commerciali che stanno su un mercato. E svolgono altresì un servizio pubblico. In questo difficile equilibrio si gioca una partita delicatissima che si può vincere – ed è questa la sfida di oggi – con il dialogo tra le due anime, quella commerciale e quella di servizio pubblico, e una strategia comune di testata. Ma senza pregiudizi e senza quella tipica puzza sotto il naso che il giornalismo italiano ha da sempre nei confronti del reparto marketing dei giornali. Perché senza un pubblico disposto a comprare, l’informazione non è altro che una voce nel vento.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
Il buon giornalista è chi non smette mai di cercare la verità, anche a costo di sacrificare molto del suo tempo, e mettendo sempre in conto la sconfitta (perché, a volte, è meglio ammettere di non essere riuscito a ricostruire tutto il puzzle che azzardare mezze verità). Ma il buon giornalista è anche chi non si accontenta. Chi scioglie i nodi e, alla fine di un articolo, non lascia domande aperte, o almeno mostra di averci provato. Buon giornalista è chi considera il lettore il suo primo e unico padrone e ricorda, ad ogni parola che scrive, che il suo è un servizio. E, dunque, chi riporta i fatti in modo onesto, approfondito e completo. E chi sa comunicare realtà complesse con un linguaggio semplice e corretto.