Intervista a Federico Graziani, Matteo Macuglia e Carolina Sardelli.

Federico Graziani, Matteo Macuglia e Carolina Sardelli. Abbiamo rispettivamente 24, 26 e 28 anni. Le nostre città di provenienza sono Milano, Udine e Firenze. Ci siamo conosciuti al master in Giornalismo IULM. Attualmente Federico e Carolina stanno concludendo il loro stage curricolare nella redazione di TGcom24 mentre Matteo è da poco collaboratore del programma Quarto Grado, Rete4.

Chiediamo a questo gruppo di giovani giornalisti se partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
Ci rispondono così: “Il sociale è sempre un tema difficile da trattare per noi giornalisti. Alla ricerca della notizia si unisce la necessaria sensibilità con cui parlare dei protagonisti, spesso persone fragili alle quali dobbiamo garantire una tutela deontologica e umana. Secondo noi la Comunicazione Sociale non trova molto spazio sulle testate. Spesso bisogna essere capaci di trovare una nuova chiave di lettura per problemi che hanno origine nel passato. Questo richiede tempo e uno studio che molte redazioni non si possono permettere, prese dalla routine del lavoro quotidiano. Inoltre trattare questi temi presuppone anche un’attenta scelta delle parole. Il lavoro del giornalista è proprio quello di scegliere: le notizie, le fonti presso cui verificarle e le parole con cui esporle. In un tema delicato come quello del premio, la sensibilità deve essere l’elemento predominante, in modo da trovare il giusto equilibrio tra due tipi di rispetto: quello verso il lettore, che si concretizza nella chiarezza del linguaggio, e quello verso le persone coinvolte, che non devono essere discriminate né emarginate, neanche linguisticamente.

Chiediamo ancora, le notizie devono essere sempre nuove?
Matteo, Federico e Carolina dicono: “Non per forza. Però è fondamentale trovare un nuovo punto di vista per raccontarle, altrimenti si finisce per ricopiare il lavoro altrui. Servono nuovi protagonisti, nuovi luoghi o nuove forme espositive per indagare una realtà in continua evoluzione. Noi giornalisti tendiamo a concepire il nostro lavoro come un servizio pubblico. Lo Stato ormai la pensa diversamente, ma crediamo che il nostro ruolo resti fondamentale per mantenere i cittadini informati e in grado di capire la realtà che li circonda. Con il venir meno del finanziamento pubblico, purtroppo la professione diventa sempre più orientata a scopi commerciali. Le aziende pagano per pubblicare dei contenuti non giornalistici, che però permettono di trattare anche temi economicamente meno redditizi.

La nostra ultima richiesta a questo giovane trio è definire un buon giornalista. La risposta è che deve essere una persona in grado di mettere in discussione il proprio punto di vista nel tempo, capace di rendere semplice una realtà sempre più complessa. Il buon giornalista capisce la natura “di servizio” del mestiere, qualcosa creato per gli altri e non per il proprio prestigio.

Nella foto, da sinistra a destra: Carolina, Federico, Matteo.