Intervista a Roberta Benvenuto

Roberta Benvenuto, classe ’87, molisana di nascita, romana di adozione si descrive così: “dopo gli studi in Lettere alla Sapienza mi sono specializzata in Editoria e Giornalismo alla LUMSA con una tesi sul documentarismo televisivo. Tra le diverse collaborazioni web e video: Class CNBC, Il Fatto Quotidiano, Fanpage, La Stampa. Al momento faccio parte della redazione di Michele Santoro, Servizio Pubblico. In modo franco e diretti risponde alla nostra intervista.

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida? Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
Solo in parte. Di sicuro la sfida più grande è stata quella di elaborare un contenuto dal valore giornalistico tenendo insieme sia l’utilità sociale che la fruibilità e l’immediatezza tipiche del web. La mancanza di copertura giornalistica sui temi della disabilità e della diversità, invece, mi ha dato la possibilità di spaziare sull’argomento e di affrontare una problematica tanto complessa e poco battuta come la sessualità per le donne disabili.Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Le parole su questi temi sono un po’ un campo minato. Da una parte rappresentano i limiti della nostra società e i suoi preconcetti sulla disabilità, sulla malattia, sulla diversità. Parole che ingabbiano o che rischiano di essere solo dei bollini del “politicamente corretto”. Dall’altro, una narrazione sclerotizzata è diretta conseguenza della mancanza di un discorso collettivo maturo. Credo che prima sfida sia parlare di questi temi. La seconda è creare parole nuove che riescano a rappresentare bene la “normalità” della “diversità”.
Le notizie devono essere sempre nuove?
Secondo la regola, sì. Ma non sempre è così. Spesso vecchi fatti, o spazi sociali mai raccontati, posso diventare notizie con una nuova visione d’insieme, dando un senso a vari pezzi mai considerati come parte di un unico grande affresco.
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Sono decisamente prodotti commerciali, soprattutto sul web dove la “dittatura” del tempo reale e lo scarso guadagno da pubblicità, dettano un’agenda spesso distorta. Ma ci sono ancora sacche di resistenza giornalistica.
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
Una persona che verifica, una persona che non ha padroni, neanche tra le sue fonti. Se devo indicare qualcuno in particolare, mi viene in mente solo Nellie Bly, pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran, la prima giornalista d’inchiesta donna. Fu lei ad aver inventato il giornalismo sotto copertura. Si è finta matta per farsi internare e per raccontare la situazione di persone di cui non interessava a nessuno: le donne emarginate dalla società e rinchiuse in una casa di cura psichiatrica a Manhattan, in condizioni disumane.