Intervista ad Antonio Piazzolla

Antonio Piazzolla, giornalista e divulgatore scientifico, è caporedattore di Close-Up Engineering, il primo network italiano dedicato all’ingegneria, alla scienza e alle innovazioni tecnologiche; redattore di Le Stelle, il mensile di cultura astronomica fondato da Margherita Hackè anche una delle firme di Forbes Italia. Nel corso della sua carriera ha collaborato con BBC Scienze Italia, l’Espresso, Il Messaggero e Business Insider Italia, intervistando diversi personaggi del panorama scientifico internazionale quali: gli astronauti Umberto Guidoni e Maurizio Cheli, gli astronomi NASA Alan Stern (principal investigator della sonda New Horizons) e Cristina Dalle Ore, Amalia Ercoli-Finzi (prima donna italiana a laurearsi in ingegneria aerospaziale e responsabile della sonda ESA-Rosetta), il virologo Roberto Burioni, i ricercatori italiani Elisa Laudi, Amalia Ballarino e Davide Rozza del CERN di Ginevra e molti altri ancora. E’ membro del “Gruppo di Lavoro in Materia di comunicazione e rapporti con la stampa e i media” dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari.

Chiediamo ad Antonio: “Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?”

Credo proprio di sì. Questo perché ci sono ancora molti pregiudizi sui diversamente abili e anche sui soggetti  affetti da patologie rare. Il rischio maggiore che si riscontra, nell’ambito dei media, è quello di far sentire queste persone sole, non parlando con frequenza delle innovazioni e delle ricerche che ad oggi, seppur non possono curare totalmente alcune patologie, possono senz’altro migliorare le condizioni di vita di chi ne è affetto. Questo perché magari interessano solo una piccolissima fetta dei lettori: il giornalismo scientifico, prima di essere un’impresa (in termini economici) deve essere mosso da uno spirito di altruismo, promuovendolo tra i lettori, raccontando loro esempi ed essendo un mezzo di condivisione delle conoscenze. La nostra è una missione che devono comprendere e portare a cuore non solo i giornalisti ma anche e soprattutto i capiredattore, i direttori, gli editori e i proprietari delle testate.

Oggi, per fortuna la comunicazione sociale è un tema che trova spazio sulle testate. Certo questo non significa che possiamo accontentarci o ritenerci soddisfatti. Si può sempre migliorare perché sensibilizzare medici, personale sanitario, pazienti, famigliari, amici e colleghi di lavoro – su certi temi – non dev’essere mai sottovalutato.

Chiediamo ancora ad Antonio se le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte. Antonio risponde: “Sono già scelte, tuttavia, è necessario svolgere un lavoro di maggiore accuratezza nell’individuare un lessico appropriato e non mi riferisco solamente al far comprendere i contenuti ai “non addetti ai lavori”. Ci vuole testa e cuore per affrontare temi del genere. Bisogna mettersi nei panni di chi li vive ogni giorno, siano essi pazienti o famigliari che assistono il proprio caro. Quando finiamo di leggere un articolo per noi “il problema” termina lì. Continuiamo a fare le nostre cose con serenità. Ma per loro no.  Ricordiamoci anche dell’importanza degli approfondimenti, questo anche perché algoritmi e social network rendono più complessa e articolata la diffusione di una news in termini di copertura. Può capitare che non tutti leggano una news, specie i diretti interessati. In diverse occasioni alcuni lettori mi hanno contattato chiedendomi maggiori informazioni su di un farmaco o di una terapia. È chiaro che non sono un dottore né intendo sostituirmi a chi di competenza. Ho sempre consigliato di contattare e farsi visitare da personale sanitario autorizzato; qualche volta però bisogna comprendere le richieste di aiuto di chi vive ogni giorno un disagio: così, quando possibile, ho messo in contatto alcuni lettori-pazienti con ricercatori autori di ricerche e centri specializzati. Non avrò risolto i loro problemi ma spero, se non altro, di aver potuto donare loro un po’ di speranza.

Un’altra domanda per questo giornalista così appassionato: Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici? Per Antonio Piazzolla la risposta è Cinquanta e cinquanta. “Dobbiamo comprendere che il giornalismo è si una missione ma anche un lavoro. I giornalisti non fanno la spesa con i “mi piace” su Facebook. Le testate si attrezzano come possono per produrre utili per il proprio personale, specie quelle che non ricevono finanziamenti pubblici. Certo non bisogna poi sostituire i principi del giornalismo con quelli del marketing; bisogna mantenere un giusto equilibrio nel rispetto dei lettori ma anche del personale (giornalisti, cameraman ecc…). Un buon giornalista, oggi,  è chi svolge questa professione con passione, riportando i fatti senza lasciarsi influenzare da niente e da nessuno e soprattutto senza cadere nella ‘trappola’ di voler fare “l’Umberto Eco di turno”. Bisogna lasciare ai lettori uno spunto di riflessione personale ed una consapevolezza in più che prima non avevano. Per quanto banale e scontato possa sembrare è così.