Intervista a Vittoria Giulia Fassola

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Ciò che mi ha spinto a partecipare a questo Premio è stata prima di tutto la consapevolezza del ruolo che il giornalismo ha nel dare voce a chi rischia di restare invisibile. Viviamo in un mondo dove l’informazione corre veloce, ma spesso dimentica di soffermarsi sulle storie più fragili, su quelle comunità – come le persone con malattie rare o disabilità – che non fanno notizia solo per i numeri, ma per il loro coraggio, le loro sfide quotidiane, le battaglie per avere accesso a cure, diritti, attenzione. Dunque, questa esperienza, significa rimettere al centro il giornalismo come servizio sociale, non solo come cronaca o intrattenimento. 

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Le storie di vita reale hanno un potere che nessun dato, nessuna statistica e nessun comunicato ufficiale può eguagliare: danno un volto umano ai problemi sociali. Quando raccontiamo la storia concreta di chi lotta contro una malattia rara, di chi si confronta ogni giorno con barriere fisiche o culturali, rendiamo immediatamente visibile ciò che altrimenti resterebbe astratto.
Quando una storia reale viene raccontata con onestà, empatia e sensibilità, il pubblico smette di percepire le persone come “casi” e comincia a vederle come parte della stessa comunità. 

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Dare voce a chi non ce l’ha non è un gesto di carità, ma un dovere del giornalismo e della comunicazione sociale. Significa riconoscere che esistono persone, comunità, storie che restano ai margini non per mancanza di importanza, ma per mancanza di ascolto. Dare voce a chi non ce l’ha fa sì che le barriere create dalla società possano essere messe in discussione ed eventualmente anche essere abbattute. 

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Ritengo che le testate giornalistiche abbiano una responsabilità profonda nell’educare il pubblico sui temi sociali. Il giornalismo non è solo racconto dei fatti, ma anche interpretazione, contesto, spiegazione: elementi essenziali per permettere ai cittadini di comprendere le sfide collettive e di formarsi un’opinione consapevole. Quando si parla di temi come malattie rare, disabilità, inclusione, equità nell’accesso alle cure, il rischio è sempre quello della superficialità o della spettacolarizzazione. Per questo le testate hanno il dovere di andare oltre il titolo d’effetto e offrire al pubblico strumenti per capire: dati affidabili, storie autentiche, analisi equilibrate.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

Mantenere l’equilibrio tra sensazionalismo e oggettività è una delle sfide più grandi per chi fa informazione, soprattutto quando si trattano temi delicati. Da un lato c’è la necessità di catturare l’attenzione del pubblico, ma dall’altro c’è il rischio di trasformare il dolore, la malattia, la fragilità in puro spettacolo, banalizzando o deformando la realtà. Il primo strumento per evitare questo scivolamento è l’etica professionale: attenersi ai fatti verificati, evitare toni enfatici, dare voce ai protagonisti reali delle storie senza filtrarli attraverso cliché o stereotipi. Come ricordano anche i principi della Carta di Roma, firmata dall’Ordine dei Giornalisti, la responsabilità dell’informazione aumenta quando si trattano minoranze, soggetti fragili o marginalizzati, e richiede particolare attenzione nel linguaggio, nelle immagini, nella costruzione della narrazione. 

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

Una delle sfide maggiori nel raccontare storie sociali è trovare il giusto equilibrio tra profondità, empatia e racconto giornalistico. Un’altra difficoltà importante è ottenere la fiducia delle persone coinvolte. Quando si lavora su storie delicate, non basta chiedere un’intervista: bisogna entrare in punta di piedi, costruire un rapporto di ascolto, garantire che ciò che si racconterà rispetterà la loro dignità e non li esporrà a ulteriori vulnerabilità. 

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

I social media hanno trasformato la comunicazione sociale dando voce a chi prima era invisibile, amplificando temi spesso ignorati dai media tradizionali. Hanno reso l’informazione più immediata e partecipativa, ma hanno anche portato nuove sfide: disinformazione, superficialità, polarizzazione. Per il giornalismo, questo significa adattarsi, senza perdere rigore e qualità, imparando a usare i social come strumento di diffusione e ascolto, ma mantenendo sempre un ruolo di verifica e approfondimento. Usati bene, i social possono rafforzare l’informazione sociale, non sostituirla.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

La formazione e l’aggiornamento professionale sono essenziali per garantire un giornalismo sociale di qualità, perché permettono ai giornalisti di acquisire nuove competenze, aggiornarsi sulle evidenze scientifiche e padroneggiare linguaggi e strumenti adeguati. In un mondo che cambia velocemente, restare aggiornati significa saper raccontare meglio temi complessi, evitare stereotipi, usare dati affidabili e comunicare in modo inclusivo. 

9. Come è venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

Sono venuta a conoscenza del Premio giornalistico attraverso la segreteria del master, un’ottima opportunità!

Intervista a Valentina Panetta

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Mi ha spinto la volontà di alimentare il dibattito sui temi dell’inclusione sociale. Si tratta di tematiche di cui mi occupo spesso ma che difficilmente trovano spazio sui media.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Quando si racconta la realtà, non c’è niente di più efficace di una storia. Il volto e le parole di una persona riescono a bucare uno schermo o le pagine di un giornale e a trasmettere un messaggio molto più efficacemente di quanto farebbe la spiegazione asettica di un fenomeno.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Credo sia fondamentale. A volte sono le voci che parlano più piano a dire le cose più interessanti.

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Assolutamente. Il ruolo del giornalismo rimane quello di avere un impatto positivo sul mondo circostante. E quando riesce a trasmettere dei messaggi o a far conoscere una realtà nascosta, si compie una vera conquista.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

Io credo che lo si possa fare attraverso un racconto essenziale dei fatti, lasciando parlare la realtà, senza aggiungere troppo al racconto. E soprattutto rispettando i protagonisti delle storie narrate.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

La sfida più importante è quella di trovare spazio nel flusso di notizie. Molto spesso le storie relative a tematiche sociali sono difficili da scovare, proprio perché poco raccontate. E per trattarle con la giusta sensibilità occorre distaccarsi dall’onda frenetica dell’attualità.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

Sono fondamentali. Molte storie, come quella che ho voluto raccontare, nascono proprio dai social media. Qui si parla al pubblico dei più giovani ed è qui che si costruiscono le basi degli adulti di domani.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

Credo che possano aiutare nel trattare queste tematiche nel modo giusto e nel farlo con i mezzi più efficaci, come appunto i social media.

9. Come è venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

L’ho scoperto online e ho aderito apprezzandone la preziosa finalità.

Intervista a Oscar Maresca

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Credo sia importante raccontare, condividere e promuovere le storie delle persone che lottano ogni giorno per una vita migliore. Il Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia promuove l’informazione e la comunicazione sulle malattie rare: un argomento di cui si parla sempre troppo poco. Raccogliere invece i lavori di giovani colleghi su questi temi è fondamentale per tenere accesa la luce sull’argomento.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Le storie fanno sempre la differenza. Raccontare spaccati di vita vera, tra difficoltà e ostacoli da superare, consente al lettore di scoprire, conoscere e immedesimarsi in una vita nuova.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Il lavoro giornalistico funziona da megafono. A noi operatori della comunicazione spetta il compito di utilizzarlo nella giusta maniera. Personalmente sono alla costante alla ricerca di storie di persone che abbiano bisogno di essere condivise e amplificate. Ogni storia può aiutare a cambiare le cose.

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Le testate giornalistiche funzionano da agenda setting: le gerarchie con cui vengono date le notizie generano una percezione diversa nel pubblico. Soffermarsi sui temi sociali è fondamentale per veicolare messaggi positivi.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

Un giornalista deve sempre rispettare i valori e le regole della deontologia. Fare sensazionalismo è un errore, soprattutto quando si trattano argomenti delicati.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

Quando racconto una storia con una forte rilevanza sociale cerco sempre di evitare banalità e frasi fatte. Presto moltissima attenzione alla terminologia quando parlo di malattie e/o handicap. Cerco inoltre di porre l’attenzione sul riscatto sociale, più che sul problema. Nel caso della storia che ho candidato al Premio Alessandra Bisceglia, quella del piccolo Emanuele, insieme alla famiglia abbiamo scelto di non parlare mai della sua malattia per tutelare la vulnerabilità del bambino. Si è deciso anche di evitare dettagli sulla sua condizione e quindi omettere il fatto che sia ricoverato da mesi in ospedale. L’obiettivo era considerare Emanuele – in tutti i modi – un bambino come tutti. Ma con una forza speciale.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

I social media hanno rivoluzionato il giornalismo tradizionale. Gli utenti leggono e si informano tramite i social. In più, per i media tradizionali, riuscire a veicolare le notizie su queste piattaforme non è mai semplice. Ci si concentra sull’utilizzare foto di alta qualità, video in alta definizione. Alla fine però ciò che conta è sempre il messaggio. Condividere messaggi positivi fa bene alla collettività e tiene sempre accesa la speranza.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

È necessario porre l’attenzione sul rispetto delle regole e dei valori della deontologia. Spesso chi fa questo lavoro è costantemente accecato dalla ricerca della notizia, più che della verità. Bisogna sempre tenere a mente invece che è più importante il come si trasmettere una notizia, rispetto alla velocità con la quale si sceglie di condividerla.

9. Come é venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

Da anni con il mio lavoro cerco di porre l’attenzione sui valori sociali, sull’importanza del raccontare storie di vita, sulla condivisione come strumento di unità. Il Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia è un’occasione perfetta per accendere un faro su queste tematiche. Ogni anno cerco notizie da poter candidare al Premio così da mettere al servizio della giuria il mio lavoro.

Intervista a Miriana Dante

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Partecipare al Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia è qualcosa che avevo in mente di fare da tempo. Ritengo che sia una valida occasione per fare luce su delle tematiche di grande urgenza nella nostra società. Dare il mio contributo è un onore, sono temi a cui cerco di dare spazio in maniera abituale nella mia professione.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Racconti di persone vere che vivono con delle difficoltà concrete possono aiutare gli altri a immedesimarsi e a comprendere meglio questioni a volte lontane dalle loro vite. In questo modo è possibile coinvolgere più individui a contribuire alla causa nel proprio piccolo, nei propri gesti quotidiani.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Penso che sia qualcosa di fondamentale, basata sul principio di non narrare cose di cui non si ha profonda consapevolezza. Piuttosto, è di maggiore impatto dare spazio a chi di fatto una voce la ha, e anche un’esperienza concreta a riguardo, anche se può accadere che venga ignorata.

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Credo con forza che, come in tanti altri ambiti, il giornalismo abbia una grande responsabilità nei confronti della società. Crea cultura e conoscenza, aiuta le persone a prendere posizione su molte questioni. Spesso ciò che rientra nel processo di agenda setting è poi ciò a cui la società attribuisce più rilevanza in un determinato periodo storico.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

Bisogna essere forti nella propria morale, comprendere a cosa si vuole dare rilevanza, essere anche empatici nei confronti di chi poi quei titoli li leggerà e cercare di non cadere nella logica tentatrice della moneta e del mercato, sebbene siano questioni importanti da non sottovalutare: anche chi lavora nel sociale necessita fondi. Sono importanti per continuare a fare sensibilizzazione e ricerca.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

È sempre molto impattante, mi porta a scavare nella mia anima a livelli profondi, mi aiuta a essere più empatica e professionale. Tuttavia, a volte è frustrante capire quanto ancora bisogna concretizzare, quante sofferenze ci sono e non trovano soluzione.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

I social media sono un canale importante per coinvolgere le fasce di età più giovani, e la loro integrazione nel giornalismo tradizionale è ormai fondamentale nella società contemporanea.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

Essere sempre aggiornati aiuta a conoscere tendenze e problematicità del giornalismo sociale, cosa è stato fatto di sbagliato, cosa si può migliorare. Gli esperti dei corsi di formazione professionale aprono prospettive contemporanee, non desuete, fornendo nuovi spunti utili.

9. Come è venuta a conoscenza del Premio giornalistico?

Ho studiato all’università LUMSA per il mio percorso di laurea triennale. L’istituto promuove attivamente il Premio dedicato alla memoria della collega Alessandra Bisceglia.

Intervista a Mauro Taino

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Ritengo che sia importante creare uno spazio nel quale possano essere valorizzati articoli relativi a tematiche sociali e sono orgoglioso di poter contribuire ad arricchire una narrazione di cui – a mio avviso – si sente sempre di più la necessità. Nel mio caso specifico, entrare a contatto con la realtà di PizzAut è stato entusiasmante, soprattutto poter declinare il racconto sotto l’aspetto della professionalità dei ragazzi.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Credo abbiano un’importanza decisamente rilevante. In mezzo alla frenesia delle giornate che vive ognuno di noi, trovare storie di vita reale che parlino di inclusione – e più in generale di tematiche sociali – può aiutare le persone a fermarsi a riflettere e a raggiungere una maggior consapevolezza in merito.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Ritengo sia sempre più fondamentale. Sono convinto che le tante persone e le tante realtà che operano (troppo spesso) nel silenzio abbiano bisogno di essere conosciute: per questo nel nostro lavoro di giornalisti dovremmo avere una sensibilità che vada al di là della notizia tout court, ma che possa valorizzare le tante storie che devono essere raccontate, siano esse di denuncia o meno.

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Assolutamente sì. Il ruolo del giornalismo dovrebbe essere quello di portare alla luce quanto il pubblico non conosce. E questo vale ancora di più per le tematiche di natura sociale. In un mondo che viaggia sempre più verso un individualismo esasperato, anche le testate giornalistiche hanno il dovere di sottolineare il valore della collettività, che passa anche attraverso il racconto e l’analisi dei temi sociali.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

Rispettando le persone e mettendole al centro: le persone sono sempre più importanti delle loro storie. Un conto è valorizzare una notizia, un altro è specularci sopra, quando non addirittura forzare il racconto per soli fini sensazionalistici. E ciò non fa bene a nessuno, a cominciare dai protagonisti fino ad arrivare ai lettori o agli spettatori.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

La ritrosia dei protagonisti nel raccontarsi, per vergogna, piuttosto che per umiltà. Anche chi fa del bene, molto spesso ritiene di non fare nulla di speciale o preferisce non esporsi in prima persona per il timore di apparire solo in cerca di pubblicità. Inoltre molto spesso non si fidano: convincerli dell’onestà del nostro interesse non è sempre semplice: in questo aiutano il pregresso e la reputazione di ognuno di noi e la credibilità della testata, ma a volte sono persone che hanno già avuto esperienze negative con altri in passato, magari meno scrupolosi.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

La natura dei social media espone maggiormente al rischio di una eccessiva semplificazione o spettacolarizzazione, ma al tempo stesso l’immediatezza con la quale possono arrivare alle persone rappresenta un’opportunità da cogliere nel promuovere la comunicazione sociale. Il giornalismo può prendere spunto dai social media, ma non può limitarsi ad un loro rilancio acritico, quanto piuttosto può raccogliere l’importanza di un tema – sia esso sociale o meno – per iniziare un lavoro di maggior approfondimento.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

L’aggiornamento professionale è fondamentale, specialmente per chi – come noi giornalisti – usa le parole. Utilizzare un lessico adeguato è imprescindibile, senza scadere in un linguaggio vuoto o retorico, ma anche rispettare la deontologia assume un valore ancora maggiore quando si trattano temi sociali.

9. Come é venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

Ne sono venuto a conoscenza tramite il sito dell’Ordine dei Giornalisti.

Intervista a Marianna Grazi

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Ho scelto, come ormai da qualche anno, di partecipare nuovamente a questo Premio giornalistico innanzitutto perché credo nel valore della divulgazione e della comunicazione come metodo di sensibilizzazione, perché partecipare a questo concorso secondo me significa conoscere o venire a conoscenza di Alessandra Bisceglia, della persona, del suo lavoro e dell’importante testimone che ha lasciato a chi porta avanti il suo messaggio ancora oggi. Questa esperienza per me significa mettermi in gioco su temi, quello della salute, della malattia, della solidarietà, che sento miei e che voglio imparare a comunicare sempre meglio.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Penso che chiunque, almeno una volta nella vita, si identifichi nelle storie con cui viene a contatto e questo fa sì che, almeno in quel momento, la persona si possa sentire parte di un insieme, della società, in cui ritrova anche i suoi bisogni, le mancanze, le rivendicazioni o in generale le questioni che ha a cuore.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Credo sia fondamentale che chi fa giornalismo o utilizza nel suo lavoro i mezzi di informazione si occupi di dare voce a chi non ne ha, di mettere in comunione attraverso la parola perché il medium diventi davvero democratico, sia uno strumento sociale di condivisione a cui tutte le persone possono partecipare. 

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Le testate giornalistiche dovrebbero senza dubbio occuparsi di temi sociali, ma non tanto, secondo me, per educare il pubblico – non è compito del giornalista educare ma informare, comunicare, certo con un linguaggio più rispettoso possibile –  quanto per rendere pubblica la conoscenza di qualcosa che interessa tutte e tutti. Penso sia fondamentale informare, rendere accessibile quel tema in modo più obiettivo possibile, perché il lettore sia poi spronato ad approfondirlo.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

Cercando di mantenere la giusta distanza tra noi e l’interlocutore, che deve dare il tono al nostro articolo o servizio, e rispettando la sua storia, il suo vissuto, non lasciandosi affascinare dalla soluzione facile per acchiappare l’attenzione del pubblico ma andando ad approfondire la questione senza scadere nella banalità o nei toni sensazionalistici. Servono rispetto e mediazione, ma soprattutto attenzione al linguaggio.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

Tra le maggiori sfide che affronto nel raccontare storie inerenti a tematiche sociali c’è sicuramente la sfida linguistica, non solo nell’utilizzo di termini appropriati per riferirmi alle persone protagoniste o testimoni della storia stessa, che non possono essere semplicemente etichettate come “malate” o “disabili” o “affette da…” togliendo loro la soggettività rispetto alla malattia o alla disabilità che hanno, ma anche nel non scadere in un tono pietistico o paternalistico che condizioni l’articolo stesso a una visione legata più alla morale che ai fatti. Inoltre nel presentare certe tematiche personalmente devo impormi dei limiti per non lasciarmi coinvolgere, come professionista della comunicazione, troppo emotivamente dalla storia in sé, perché queste mie emozioni non condizionino la notizia: secondo me è fondamentale essere interessate a certi temi, a certe vicende e storie umane, e anche avere empatia per le persone coinvolte, ma non lasciandosi “prendere la mano” per non perdere di vista il focus dell’articolo stesso.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

I social media sono ormai uno strumento quotidiano quasi indispensabile per chi lavora nel mondo della comunicazione, sia nel consentire ad una platea più ampia di persone di fruire delle informazioni sia, per chi invece fa comunicazione, per avere un canale di contatto più immediato e costante con il proprio pubblico. Questa continua ricerca dell’immediatezza e della velocità a cui ci obbligano i social, tuttavia, non ci deve far perdere di vista i principi su cui si basa il nostro lavoro, su tutti quello espresso dall’art. 2 della legge 69 del 1963, ossia  «il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede». Le piattaforme siano quindi strumenti di democrazia e partecipazione, non di scontro, proliferazione di odio e fake news alla ricerca del consenso facile.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

Visto che viviamo in una società fluida e in continua evoluzione e trasformazione è necessario non sentirsi mai arrivate nella nostra formazione professionale, prendendo invece spunto dai continui mutamenti perché ci spronino a continuare ad accrescere le nostre conoscenze anche in campo lavorativo. E credo che l’offerta di corsi oggi sia più che adeguata per trovare una risposta a tante curiosità e a porre nuovi interrogativi che stimolino noi giornalisti a trovare anche tanti temi che spesso vengono lasciati al margine del dibattito pubblico.

9. Come è venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

Grazie al passaparola di una collega che ha partecipato anni fa e me lo ha fatto conoscere.

Intervista a Libero Stracquadanio

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

L’incredibile storia che abbiamo raccontato io e Alessandra ci ha riempito il cuore. Simonluca, aprendoci le porte di casa propria, ci ha fatto scoprire come ogni vita è diversa una dall’altra e che ognuno di noi porta con sé un bagaglio di conoscenze, passioni e sentimenti che è sempre importante condividere. Poter partecipare a questo concorso rappresenta l’arricchimento di un momento già importante per me e ha acceso la possibilità di far conoscere a più occhi la storia di Simonluca.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Poter conoscere l’esperienza di vita di tutti i singoli, la loro quotidianità, condita da difficoltà e forza di volontà, serve ad alimentare l’immedesimazione e la comprensione del prossimo. Poter dare un volto e una storia alle minoranze aiuta l’opinione pubblica a essere più conscia degli atteggiamenti che deve assumere nei contesti pubblici e predispone a una maggiore propensione all’aiuto, perché figlio di una conoscenza esperienziale mediata.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Dare voce a chi non ce l’ha è l’obiettivo del giornalismo. Poter cambiare le cose all’interno dell’opinione pubblica semplicemente raccontando è ciò che mi entusiasma di più di questo lavoro nel quale sto muovendo i primi passi. Spesso le persone hanno solo bisogno di vedere per comprendere e rendersi conto. Accendere un faro per aiutarle a sviluppare una consapevolezza è fondamentale.

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Assolutamente sì. Il giornalismo non è solo cronaca, ma anche formazione del pensiero collettivo. Quando una testata decide di dedicare spazio a storie di singoli, offre al proprio pubblico un modo per comprendere i temi che circondano quella vita. Il giornalista deve guidare il lettore o lo spettatore nella scoperta di realtà che altrimenti resterebbero nascoste. Penso che contribuire a costruire cittadini più consapevoli è un dovere di chiunque vuole fare questo lavoro.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

L’equilibrio sta nel rispetto della persona e nella cura del linguaggio. Raccontare in maniera oggettiva, rispettando sempre chi abbiamo davanti è la cosa più importante. Spettacolarizzare delle storie non fa che creare mitopoiesi che allontanano lo spettatore dalla tematica, perché tendono a rendere quella storia un caso raro, specifico e non ripetibile. Se si vuole trattare una tematica è invece importante far capire che non si tratta di un singolo, ma di un insieme di persone. Vanno evitati toni enfatici e lasciare che siano i fatti a emergere.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

E’ importante instaurare un rapporto di fiducia con chi racconti: spesso persone che hanno già subito pregiudizi o che si sentono vulnerabili. Bisogna ascoltare in modo autentico, essere limpidi, trasparenti e non forzare nulla. Poi c’è il limite del tempo. Condensare un percorso di vita in pochi minuti richiede scelte difficili e che mi hanno personalmente messo in difficoltà.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

I social media sono uno strumento in grado di amplificare. Consentono a storie piccole di raggiungere un pubblico vasto. Purtroppo il rischio di superficialità è enorme, ma se usati con criterio diventano un potente mezzo. Il giornalismo deve imparare a utilizzare queste piattaforme, imparando a sfruttarne la rapidità.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

Lo studio continuo permette di essere sempre pronti ad affrontare ogni tipo di novità. E’ quindi fondamentale essere continuamente aggiornati e pronti a ogni tipo di racconto. Più competenze abbiamo, più possiamo valorizzare le storie.

9. Come sei venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

È stata la Scuola di Giornalismo di Perugia, dove sto studiando, a informare me e Alessandra di questa opportunità. Il lavoro svolto per raccontare la storia di Simonluca ci è sembrato perfetto per questo Premio e per questo abbiamo deciso di partecipare.

Intervista a Laura Pace

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Ho scelto di partecipare al Premio Alessandra Bisceglia perché credo in un giornalismo che sa farsi ponte tra mondi, che accende riflettori sulle fragilità con rispetto e umanità. Questo è lo spirito che mi ha guidata nel raccontare la storia di Mavi, la giovane con disabilità che ha realizzato il sogno di intervistare il Presidente Mattarella, pubblicata su Il Messaggero. Dietro quell’incontro simbolico, c’è una ragazza determinata, un’Italia che troppo spesso non ascolta, e un bisogno urgente di raccontare la disabilità non come etichetta, ma come percorso di vita e dignità. Partecipare a questo Premio, che porta il nome di una collega che ha lottato per rendere la comunicazione più inclusiva, per me significa rendere omaggio a quel tipo di giornalismo che vorrei praticare ogni giorno: attento, sensibile, necessario.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Le storie vere hanno il potere di abbattere distanze e pregiudizi. Quando raccontiamo con onestà e sensibilità una vicenda personale, quella storia diventa uno specchio nel quale riconoscersi, o uno spiraglio per guardare il mondo da un’altra prospettiva. Le storie di vita reale umanizzano le statistiche, stimolano l’empatia e possono cambiare il modo in cui percepiamo problemi sociali complessi.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Credo sia uno dei compiti fondamentali del giornalismo. Dare voce a chi non ce l’ha significa rompere il silenzio che circonda spesso la marginalità, la disabilità, la povertà. Significa non solo informare ma anche includere. Quando una persona che non ha strumenti o visibilità riesce a raccontarsi attraverso un nostro pezzo, il giornalismo torna alla sua funzione più autentica: servire la società.

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Assolutamente sì. L’informazione ha un ruolo formativo tanto quanto quello informativo. Le redazioni web, Tg, giornali ecc. hanno la responsabilità di orientare il dibattito pubblico anche verso temi che spesso vengono trascurati perché non fanno “notizia”, ma che toccano la vita di milioni di persone. Educare il pubblico significa fornire strumenti critici per interpretare la realtà, non solo trasmettere fatti.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

L’equilibrio si trova nella cura: nel linguaggio, nelle fonti, nell’approccio. Evitare titoli acchiappa-click e toni pietistici, privilegiare la precisione dei dati e la profondità del racconto, ma soprattutto utilizzare un linguaggio nuovo, inclusivo. Ogni volta che scrivo una storia delicata cerco di ricordarmi che dietro le parole ci sono persone reali. Il rispetto è la bussola che guida verso un racconto vero ma mai invasivo.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

La sfida più grande è trovare il giusto equilibrio tra il coinvolgimento emotivo e il distacco necessario per raccontare i fatti con lucidità. Un’altra difficoltà è l’accessibilità: entrare in contatto con persone che vivono ai margini spesso richiede tempo, fiducia e sensibilità. Infine, c’è la sfida della visibilità: far sì che storie considerate “minori” trovino spazio nei palinsesti editoriali.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

Possono essere un’enorme risorsa per la comunicazione sociale, se usati con consapevolezza. Permettono la diffusione rapida delle storie, la partecipazione dal basso, la creazione di comunità. Allo stesso tempo, però, espongono a rischi come la superficialità, la polarizzazione, la disinformazione e le fake news. Il giornalismo tradizionale deve saper dialogare con i social, mantenendo però intatta la propria autorevolezza. E viceversa, i nuovi media presenti sui social devono fare un lavoro doppio per avere credibilità. Ma le novità e stare al passo con i tempi è necessario, se non essenziale.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

Il giornalismo sociale richiede competenze specifiche: conoscere il linguaggio appropriato, le normative, le dinamiche della disabilità o dell’emarginazione. La formazione continua è fondamentale per affinare strumenti narrativi, deontologici e culturali.

9. Come é venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

Ne sono venuta a conoscenza durante il mio percorso di formazione alla LUISS, grazie a dei docenti che lo hanno segnalato come esempio virtuoso di giornalismo impegnato. Da allora ho seguito con interesse le edizioni precedenti, apprezzando la qualità dei lavori premiati e l’impegno della Fondazione.

Intervista a Greta Giglio

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Partecipare al Premio Bisceglia ha rappresentato per me un’occasione per approfondire il tema del linguaggio usato come strumento sociale: ha significato capire meglio l’importanza del modo in cui comunichiamo e mi ha permesso di entrare in contatto con persone che vivono questa importanza sulla propria pelle.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

L’opinione pubblica è formata dalle persone. Se vengono mostrate le storie delle persone reali, nelle loro complesse e molteplici sfumature, sarà l’opinione pubblica stessa a vedersi riflessa in queste storie.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Per me la comunicazione sociale non ha alcun senso se non attraverso la voce dei suoi protagonisti. Non credo che il giornalismo dia voce alle persone, ma che al contrario i giornalisti debbano essere a servizio delle persone, specialmente in chi crede di non avere una voce. Dal momento in cui viviamo in una democrazia, a tutti deve essere garantito il diritto di parola, e il giornalismo sociale è uno strumento attraverso cui questo diritto può e deve essere rispettato.

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Credo che le testate giornalistiche non debbano educare su temi sociali, ma piuttosto dovrebbe essere riconosciuta la necessità di restituire un racconto delle realtà sociali più trasparenza e veridicità possibili. Penso che l’approccio a un’educazione piuttosto che a una comunicazione sincera e diretta possa rischiare di allontanare le persone, soprattutto chi è estraneo alle problematiche sociali. Se si offre loro una storia piuttosto che un insegnamento, potrebbero aumentare le probabilità di suscitare empatia e di far emergere un interesse umano.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

L’equilibrio si può mantenere mettendosi in ascolto e al servizio di chi ti racconta la sua storia. Che sia un racconto di sofferenza, di discriminazione o di fragilità, è sufficiente ricordarsi che il fulcro di quel racconto è la persona che ne sta parlando, nella sua interezza e nella sua complessità di essere umano. Non appiattire una persona riducendola agli aspetti della sua vita che interessano a uno specifico lavoro giornalistico è più che fondamentale.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

Le maggiori sfide che ho riscontrato nella mia esperienza hanno riguardato principalmente la sintesi della tematica trattata. Usare uno spazio definito, scegliere una modalità di racconto, restituire il quadro di un tema sociale ampio come quello proposto dalla 9ª edizione del Premio Bisceglia ha significato per me confrontarmi con la mia capacità di approfondire senza perdermi, selezionando solo alcune parti del materiale raccolto – nonostante la consapevolezza che c’è ancora molto da dire.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

I social media sono uno strumento fondamentale per la comunicazione sociale. Basti pensare che la maggior parte delle persone passa molto tempo su queste piattaforme. Il modo migliore per raggiungere il pubblico è dunque comunicare attraverso i social, che permettono l’uso di un linguaggio fruibile a chiunque, rendono la comunicazione sociale alla portata di tutti.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

Senza formazione e senza un continuo aggiornamento mancherebbero le parole per scrivere di giornalismo sociale. Significherebbe ignorare il suo primo, basilare strumento: il linguaggio corretto. Mancando questo, manca la capacità di comunicare in modo efficiente e rispettoso una storia.

9. Come è venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

Attraverso il direttore del Master di giornalismo dell’università Lumsa che attualmente frequento.

Intervista a Giulia Rugolo

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Ho scelto di partecipare perché il Premio Bisceglia promuove giornalismo sociale su malattie rare e fragilità invisibili, offrendo una vetrina importante per sensibilizzare il pubblico su questioni spesso trascurate. Per me è un’opportunità preziosa: non solo valorizza il rigore giornalistico, ma rinsalda l’impegno etico nel dare voce a chi soffre, in linea con la testimonianza di Alessandra.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Le testimonianze dirette umanizzano temi complessi. Nel mio articolo ho accolto la voce di pazienti e specialisti, mostrando come la fibromialgia non sia un dolore “astratto”, ma un’esperienza concreta fatta di sfide quotidiane. Questo favorisce empatia, rimuove stereotipi e crea pressione per un dibattito pubblico più consapevole.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Dare spazio a chi non ha voce è un atto di giustizia e senso civico ed è uno dei motivi che mi ha portato a scegliere questa professione. Significa rompere il silenzio verso realtà poco visibili, tutelare diritti e far emergere bisogni ignorati. La comunicazione sociale efficace offre un contrappeso alle narrative dominanti, restituendo dignità a chi lotta in solitudine.

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Sì, assolutamente. Le testate hanno una responsabilità formativa: educare significa andare oltre le notizie scottanti, fornire contesto, spiegazioni e strumenti di comprensione. Così si contribuisce al bene comune e si rende la società più informata, empatica e pronta a intervenire.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

Mantenere l’equilibrio tra sensazionalismo e oggettività significa aderire ai principi base dell’etica giornalistica: precisione, imparzialità e trasparenza. Evitare titoli emotivi o allarmistici richiede un linguaggio misurato, fondato su fatti verificati e fonti affidabili. Solo così si costruisce fiducia e si tutela la credibilità del giornalismo.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

Le principali sfide sono:

  1. Verifica delle fonti: spesso le persone non sono esperte, occorre confrontare con medici o studi.
  2. Empatia vs intervista: creare fiducia con chi sperimenta dolore tutti i giorni è una questione delicata. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra il voler riportare la notizia e non oltrepassare dei limiti personali.
  3. Spazio limitato: occorre tagliare senza banalizzare, tenendo insieme impatto ed essenzialità.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

I social amplificano e democratizzano: danno evidenza a storie altrimenti ignorate, coinvolgono la community e spingono media tradizionali a coprirle. Però possono anche semplificare argomenti complessi. Serve uno storytelling che unisca rigore giornalistico e linguaggio social, costruendo ponti tra realtà e piattaforme.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

Una solida formazione – su fonti cliniche, etica, intercultura, dati – è fondamentale. Aggiornarsi su temi sociali, malattie rare, politiche sanitarie e linguaggi del web aiuta a raccontare in modo credibile e rispettoso, evitando stereotipi e semplificazioni.

9. Come è venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

Ho appreso dell’iniziativa attraverso la segreteria della Scuola di giornalismo della Luiss, che ci ha mandato un’email con allegato il bando.