1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?
Da sempre ho a cuore questi temi, avendo anche fondato un’associazione per il superamento delle barriere architettoniche e sensoriali (Ass. Festival per le città accessibili). È proprio grazie alla mia rete di conoscenze che ho coltivato negli anni di volontariato che ho conosciuto Simonluca Carletti, ragazzo con la distrofia muscolare di Duchenne, scrittore di romanzi fantasy. Una storia che andava raccontata e che ho potuto condividere grazie all’aiuto di Libero Stracquadanio. Entrambi conserviamo l’incontro con Simonluca e credo che avere questa sensibilità ci aiuterà molto nella nostra futura professione di giornalisti. Inoltre, la partecipazione al premio è un’opportunità in più per condividere e far conoscere la storia di Simoluca.
2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?
Entrare a stretto contatto con le persone, entrare nelle loro case e poter raccontare le loro storie da vicino è la maniera più forte per fare informazione su questi temi. Spesso si pensa alle malattie e alle disabilità astraendole dalla concretezza della quotidianità. Le stesse barriere architettoniche, per esempio, non sono comprensibili per le persone che non hanno mai fatto esperienza di una gamba ingessata. L’informazione può aiutare a far comprendere che quella barriera è un ostacolo non solo per chi ha una disabilità motoria, ma per tutta la società. Il percorso per questa comprensione è lungo e richiede la conoscenza delle tante storie, tutte diverse, di chi malattie e disabilità le vive sulla propria pelle.
3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?
Il giornalismo, oltre a fare un’informazione basata sulla verità, dovrebbe essere la cassa di risonanza per tutte le istanze sociali che spesso rimangono inascoltate, soprattutto dalla politica. Da una parte, quindi, il giornalismo potrebbe essere importante per arrivare a traguardi politici in materia di salute, dignità e diritti. Dall’altra un buon giornalismo, sensibile a queste tematiche, è fondamentale per costruire un’opinione pubblica consapevole e pronta a salvaguardare i diritti di tutte le persone.
4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?
Tutti i giornali dovrebbero dedicare parte della propria testata ad approfondimenti su temi sociali. Perché è quella la realtà del nostro Paese, è quella la quotidianità della maggioranza della popolazione che vive sulla propria pelle o su quella di un proprio familiare una malattia o una disabilità. Le testate giornalistiche hanno la responsabilità di raccontare con chiarezza e senza cadere nel sentimentalismo storie per troppo tempo lasciate ai margini. E che invece ci riguardano.
5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?
Far vedere e raccontare tutto per come è, senza il bisogno di troppe mediazioni. Lasciare che sia lo spettatore, il lettore o l’ascoltatore a farsi commuovere, senza dover edulcorare il racconto. L’empatia è certamente importante, ma deve essere reale. Il giornalista deve, in prima persona, essere coinvolto dalla storia che sta raccontando e capirne l’importanza di raccontarla. Una parola, credo, vada tenuta a mente: dignità.
6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?
Credo che i media non siano pronti fino in fondo a un racconto onesto delle disabilità. Anche in televisione, sia in servizi giornalistici che di approfondimento, si vedono raramente storie un po’ più complesse, che si cercano di abbellire in ogni modo. Trovare un compromesso tra quello che “si può far vedere” e quello che invece vedi nella realtà non è così semplice. Ma la sfida più importante credo sia quella di trovare degli editori e dei direttori che consentano di trattare approfonditamente certe tematiche. C’è troppa poca sensibilità.
7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?
Molto positivamente. I social hanno consentito la condivisione di tutte quelle storie che non riuscivano a passare per i canali tradizionali. Su instagram posso imparare la lingua dei segni, seguire i viaggi di un’influencer in carrozzina, sostenere una ragazza con una malattia rara. Quando questi profili ricevono “traffico” notevole, poi dai social queste storie passano nei giornali e telegiornali. Quindi ben vengano i social, ma ai giornalisti poi il compito di fare informazione e approfondimento.
8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?
Mettere in rete conoscenze e pratiche è la chiave per crescere professionalmente. La formazione in questo settore è fondamentale, vista la rapidità del progresso tecnologico e delle piattaforme digitali. Per quanto riguarda questo tema specifico credo che serva anche ad uscire dalla propria bolla.
9. Come sei venuto a conoscenza del Premio giornalistico?
Sono venuta a conoscenza del premio attraverso la Scuola di Giornalismo di Perugia, che attualmente frequento insieme a Libero Stracquadanio. Quando abbiamo letto il bando abbiamo pensato che potesse essere un’occasione preziosa per far viaggiare ancora un po’ più lontano la fantastica storia di Simonluca.