Intervista a Anna Arnone

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Il giornalismo ha prima di tutto una funzione civile: offre la possibilità di ampliare l’orizzonte su realtà spesso ignorate o marginalizzate. Partecipare a questo premio rappresenta un’opportunità per valorizzare storie e volti. Infine, ma non meno importante, costituisce un’occasione di confronto con colleghi che condividono lo stesso impegno verso una comunicazione etica e responsabile.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Le storie vere parlano al cuore prima ancora che alla mente. Rendono concreti temi che altrimenti resterebbero astratti, permettendo al pubblico di immedesimarsi e comprendere meglio le dinamiche complesse di certe situazioni. Una buona narrazione può smuovere tante coscienze.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Dare voce a chi non ne ha è, a mio avviso, uno dei compiti fondamentali del giornalismo. Significa rompere il silenzio attorno a storie che contano, offrire uno spazio di ascolto e legittimazione, contribuire a una società più equa e inclusiva.

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

L’informazione non è solo cronaca ma è anche formazione civica. Le testate hanno la possibilità – e il dovere – di aiutare le persone a comprendere i fenomeni sociali, promuovendo consapevolezza e senso critico.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

Serve rigore, rispetto e onestà. Il racconto deve essere coinvolgente, ma senza mai spettacolarizzare il dolore o semplificare eccessivamente. Dare profondità, contesto e voce diretta ai protagonisti è la chiave per evitare derive sensazionalistiche.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

Una delle sfide principali è il rischio di strumentalizzazione o di rappresentazioni stereotipate. Un’altra, oltremodo importante, è ottenere la fiducia delle persone coinvolte che spesso hanno vissuto esperienze traumatiche o marginalizzanti. Infine, c’è sempre il rischio che questi temi restino ai margini dell’agenda mediatica.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

I social media possono amplificare storie importanti e raggiungere un pubblico nuovo, ma presentano anche rischi di polarizzazione e superficialità. Il giornalismo tradizionale può trarne vantaggio solo se riesce a mantenere la propria autorevolezza e profondità, sfruttando i social come strumenti e non come fine.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

La formazione è fondamentale per sviluppare competenze non solo tecniche ma anche etiche e culturali. Affrontare temi sociali richiede sensibilità, conoscenza delle dinamiche in gioco e capacità di ascolto. L’aggiornamento continuo aiuta a evitare semplificazioni e a utilizzare un linguaggio rispettoso e inclusivo.

9. Come é venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

Ne sono venuta a conoscenza leggendo sul sito del CNOG e ho subito sentito che rispecchiava il tipo di giornalismo in cui ciascun professionista crede: attento, umano e orientato al cambiamento sociale.