1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?
La storia che mi ero trovato a raccontare mi era rimasta impressa per tanto tempo, soprattutto per il rapporto che si è poi sviluppato con l’intervistata. Volevo far conoscere la loro storia a più persone possibili, perché è davvero esemplare, così ho pensato di candidare il servizio.
2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?
Con l’empatia. Essere bravi a raccontare queste storie significa togliere lo schermo che separa spettatore e protagonista della storia. Solo così le questioni sociali possono arrivare con un impatto maggiore.
3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?
Significa ricordare che le notizie non sono solo quelle che riguardano il mainstream, le persone più potenti o quelle più celebrate. Significa ricordare che la notizia siamo noi, a partire dai contesti più vicini o da quelli che non riusciamo a guardare in faccia. Spesso per mancanza di empatia.
4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?
Diverse testate più smart e più vicine ai giovani già lo fanno. Perché il lato più solare di queste nuove generazioni in realtà è molto vicino ai temi sociali. Le testate che non lo fanno purtroppo hanno uno sguardo spesso anacronistico, o tendente a guardare troppo lontano da noi.
5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?
Bisogna studiare bene il tema sociale che si racconta, evitando del tutto di guardarlo con gli occhi di chi è fuori da quel contesto. Spesso siamo abituati a conoscere alcuni argomenti e alcune sfere sociali solo dall’esterno con convenzioni sociali, sia nella narrazione generale che nei singoli termini che si adoperano. In realtà la maggior parte di questi sono molto più stratificati e complessi.
6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?
Proprio l’utilizzo dei termini giusti. Spesso ciò che noi pensiamo sia innocuo ha un effetto narrativo e sociale molto più forte e impattante (spesso in negativo) di quanto immaginiamo.
7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?
Proprio ciò di cui sopra: avere un approccio più smart, più fresco e meno anacronistico.
8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?
Con la consapevolezza che certe dinamiche si evolvono, così come il modo di raccontarle. Il glossario o la narrazione generale di determinate sfere sociali non può essere come quello di tanti anni fa, non bisogna accontentarsi di aver conosciuto alcune realtà e pensare di conoscerle ancora.
9. Come é venuto a conoscenza del Premio giornalistico?
Tramite la scuola di giornalismo che frequento: “Massimo Baldini” dell’Università Luiss di Roma.