Intervista a Giulia Rugolo

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Ho scelto di partecipare perché il Premio Bisceglia promuove giornalismo sociale su malattie rare e fragilità invisibili, offrendo una vetrina importante per sensibilizzare il pubblico su questioni spesso trascurate. Per me è un’opportunità preziosa: non solo valorizza il rigore giornalistico, ma rinsalda l’impegno etico nel dare voce a chi soffre, in linea con la testimonianza di Alessandra.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Le testimonianze dirette umanizzano temi complessi. Nel mio articolo ho accolto la voce di pazienti e specialisti, mostrando come la fibromialgia non sia un dolore “astratto”, ma un’esperienza concreta fatta di sfide quotidiane. Questo favorisce empatia, rimuove stereotipi e crea pressione per un dibattito pubblico più consapevole.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Dare spazio a chi non ha voce è un atto di giustizia e senso civico ed è uno dei motivi che mi ha portato a scegliere questa professione. Significa rompere il silenzio verso realtà poco visibili, tutelare diritti e far emergere bisogni ignorati. La comunicazione sociale efficace offre un contrappeso alle narrative dominanti, restituendo dignità a chi lotta in solitudine.

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Sì, assolutamente. Le testate hanno una responsabilità formativa: educare significa andare oltre le notizie scottanti, fornire contesto, spiegazioni e strumenti di comprensione. Così si contribuisce al bene comune e si rende la società più informata, empatica e pronta a intervenire.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

Mantenere l’equilibrio tra sensazionalismo e oggettività significa aderire ai principi base dell’etica giornalistica: precisione, imparzialità e trasparenza. Evitare titoli emotivi o allarmistici richiede un linguaggio misurato, fondato su fatti verificati e fonti affidabili. Solo così si costruisce fiducia e si tutela la credibilità del giornalismo.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

Le principali sfide sono:

  1. Verifica delle fonti: spesso le persone non sono esperte, occorre confrontare con medici o studi.
  2. Empatia vs intervista: creare fiducia con chi sperimenta dolore tutti i giorni è una questione delicata. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra il voler riportare la notizia e non oltrepassare dei limiti personali.
  3. Spazio limitato: occorre tagliare senza banalizzare, tenendo insieme impatto ed essenzialità.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

I social amplificano e democratizzano: danno evidenza a storie altrimenti ignorate, coinvolgono la community e spingono media tradizionali a coprirle. Però possono anche semplificare argomenti complessi. Serve uno storytelling che unisca rigore giornalistico e linguaggio social, costruendo ponti tra realtà e piattaforme.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

Una solida formazione – su fonti cliniche, etica, intercultura, dati – è fondamentale. Aggiornarsi su temi sociali, malattie rare, politiche sanitarie e linguaggi del web aiuta a raccontare in modo credibile e rispettoso, evitando stereotipi e semplificazioni.

9. Come è venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

Ho appreso dell’iniziativa attraverso la segreteria della Scuola di giornalismo della Luiss, che ci ha mandato un’email con allegato il bando.