Intervista a Laura Pace

1. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Premio Giornalistico con un tema così specifico e qual è il significato di questa esperienza per te?

Ho scelto di partecipare al Premio Alessandra Bisceglia perché credo in un giornalismo che sa farsi ponte tra mondi, che accende riflettori sulle fragilità con rispetto e umanità. Questo è lo spirito che mi ha guidata nel raccontare la storia di Mavi, la giovane con disabilità che ha realizzato il sogno di intervistare il Presidente Mattarella, pubblicata su Il Messaggero. Dietro quell’incontro simbolico, c’è una ragazza determinata, un’Italia che troppo spesso non ascolta, e un bisogno urgente di raccontare la disabilità non come etichetta, ma come percorso di vita e dignità. Partecipare a questo Premio, che porta il nome di una collega che ha lottato per rendere la comunicazione più inclusiva, per me significa rendere omaggio a quel tipo di giornalismo che vorrei praticare ogni giorno: attento, sensibile, necessario.

2. In che modo le storie di vita reale possono influenzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

Le storie vere hanno il potere di abbattere distanze e pregiudizi. Quando raccontiamo con onestà e sensibilità una vicenda personale, quella storia diventa uno specchio nel quale riconoscersi, o uno spiraglio per guardare il mondo da un’altra prospettiva. Le storie di vita reale umanizzano le statistiche, stimolano l’empatia e possono cambiare il modo in cui percepiamo problemi sociali complessi.

3. Qual è la tua opinione sull’importanza di dare voce a chi non ce l’ha nel contesto della comunicazione sociale?

Credo sia uno dei compiti fondamentali del giornalismo. Dare voce a chi non ce l’ha significa rompere il silenzio che circonda spesso la marginalità, la disabilità, la povertà. Significa non solo informare ma anche includere. Quando una persona che non ha strumenti o visibilità riesce a raccontarsi attraverso un nostro pezzo, il giornalismo torna alla sua funzione più autentica: servire la società.

4. Ritieni che le testate giornalistiche abbiano la responsabilità di educare il pubblico su temi sociali? Perché?

Assolutamente sì. L’informazione ha un ruolo formativo tanto quanto quello informativo. Le redazioni web, Tg, giornali ecc. hanno la responsabilità di orientare il dibattito pubblico anche verso temi che spesso vengono trascurati perché non fanno “notizia”, ma che toccano la vita di milioni di persone. Educare il pubblico significa fornire strumenti critici per interpretare la realtà, non solo trasmettere fatti.

5. Come si può mantenere un equilibrio tra il sensazionalismo e l’oggettività quando si trattano argomenti delicati?

L’equilibrio si trova nella cura: nel linguaggio, nelle fonti, nell’approccio. Evitare titoli acchiappa-click e toni pietistici, privilegiare la precisione dei dati e la profondità del racconto, ma soprattutto utilizzare un linguaggio nuovo, inclusivo. Ogni volta che scrivo una storia delicata cerco di ricordarmi che dietro le parole ci sono persone reali. Il rispetto è la bussola che guida verso un racconto vero ma mai invasivo.

6. Quali sono le sfide maggiori che affronti nel raccontare storie relative a tematiche sociali?

La sfida più grande è trovare il giusto equilibrio tra il coinvolgimento emotivo e il distacco necessario per raccontare i fatti con lucidità. Un’altra difficoltà è l’accessibilità: entrare in contatto con persone che vivono ai margini spesso richiede tempo, fiducia e sensibilità. Infine, c’è la sfida della visibilità: far sì che storie considerate “minori” trovino spazio nei palinsesti editoriali.

7. Come vedi il ruolo dei social media nel promuovere la comunicazione sociale e nell’influenzare il giornalismo tradizionale?

Possono essere un’enorme risorsa per la comunicazione sociale, se usati con consapevolezza. Permettono la diffusione rapida delle storie, la partecipazione dal basso, la creazione di comunità. Allo stesso tempo, però, espongono a rischi come la superficialità, la polarizzazione, la disinformazione e le fake news. Il giornalismo tradizionale deve saper dialogare con i social, mantenendo però intatta la propria autorevolezza. E viceversa, i nuovi media presenti sui social devono fare un lavoro doppio per avere credibilità. Ma le novità e stare al passo con i tempi è necessario, se non essenziale.

8. In che modo la formazione e l’aggiornamento professionale possono migliorare la qualità del giornalismo sociale?

Il giornalismo sociale richiede competenze specifiche: conoscere il linguaggio appropriato, le normative, le dinamiche della disabilità o dell’emarginazione. La formazione continua è fondamentale per affinare strumenti narrativi, deontologici e culturali.

9. Come é venuto a conoscenza del Premio giornalistico?

Ne sono venuta a conoscenza durante il mio percorso di formazione alla LUISS, grazie a dei docenti che lo hanno segnalato come esempio virtuoso di giornalismo impegnato. Da allora ho seguito con interesse le edizioni precedenti, apprezzando la qualità dei lavori premiati e l’impegno della Fondazione.