La forza delle immagini per raccontare

Vincenzo Morgante – Direttore Tv 2000

“Grazie per l’invito a questo appuntamento, davvero un evento diverso da molti altri, un percorso di fecondità che si è andato consolidando. De Bortoli nel suo intervento ha reso giustizia a quanti credono che raccontare il bene da parte dei giornalisti non significhi far parte di un settore del giornalismo di serie B. Raccontare il bene comporta una competenza e una responsabilità al pari di qualunque altro svolga questo mestiere. Non tutti la pensano così. L’idea diffusa è che occuparsi di alcuni temi – e quindi temi come il capitale sociale – significhi occuparsi di temi leggeri. In realtà stiamo parlando di un fenomeno fondamentale per la tenuta di un Paese. Credo che anche per i giovani colleghi del master sia stata un’occasione importante e cbhe abbiano ricevuto stimoli significativi per un settore che richiede attenzione e competenze, anche di natura giornalistica, un ambito per il quale c’è ancora tanto spazio. De Bortoli ci ha ricordato anche i criteri per raccontare questo settore, che sono anche i criteri della professione: la competenza, la serietà, la credibilità, il non fermarsi alla verità pubblica ma andare oltre. Gli stessi criteri che devono accompagnare chi si occupa di economia, chi si occupa di cronaca nera, chi si occupa di sport. Sono grato di questa sottolineatura. Così come concordo con quanto ci ha detto Ruffini: una fotografia che una settimana prima si era deciso di non pubblicare, che poi una settimana dopo si decide di pubblicare. Dietro al lavoro giornalistico c’è tanto impegno. C’è una riflessione anche dietro la scelta di una foto. Si mettono in campo competenze, sensibilità, conoscenze: anche questa mi è sembrata una bella lezione di giornalismo. “Vieni e vedi”, dice l’apostolo Filippo nel brano del vangelo di Giovanni. Papa Francesco lo suggerisce per ogni espressione comunicativa che debba essere limpida e onesta: nella redazione di un giornale come nel mondo del web, nella predicazione ordinaria della Chiesa come nella comunicazione politica e sociale. A mio avviso una delle sfide per rifondare il giornalismo (soprattutto oggi che la tesi pandemica ha accentuato certe cattive abitudini del fare giornalismo che bisogna spazzare se vogliamo salvare quella che non solo è il nostro mestiere, ma è servizio sociale) è andare, vedere e poi raccontare con ogni mezzo che si ha a disposizione. Quindi uscire dalle redazioni, dagli studi televisivi e radiofonici, consumare la suola delle scarpe, far sì che tutto ciò torni ad essere centrale nella nostra professionalità. Oggi il viaggio è spesso telematico, ma se nell’ultimo anno e mezzo è stato una necessità per colpa della pandemia è giunto il tempo di tentare di invertire la rotta: se vogliamo evitare – e vogliamo farlo – un’informazione appiattita (con sempre le stesse fonti dirette) dobbiamo tornare alle origini … e naturalmente adeguando forze e mezzi ai tempi, perché c’è un problema a monte, che va oltre la volontà dei direttori, che è quello delle risorse nel mondo dell’informazione; un problema che si fa sempre più complicato. Quando possibile dobbiamo condividere: è sbagliato scrivere di qualcuno senza averne condiviso un po’ la vita. Questa è l’idea del grande Ryszard Kapuściński, un mito del giornalismo mondiale, che al giornalismo, alle sue regole e alle sue difficoltà ha dedicato un libro molto bello, dal titolo “Il cinico non è adatto a questo mestiere”. Ecco, noi al Tg 2000 come nelle altre redazioni cerchiamo di fare informazione attraverso le parole, i suoni – quelli che i tecnici chiamano effetti – e anche e soprattutto le immagini: vedere, guardare, osservare, mostrare, condividere … e nei tempi in cui l’informazione ha trovato la via veloce dei social, tolta la tara della mancanza di verifiche, che giustamente lamentiamo in merito proprio ai social, è proprio attraverso le immagini che ci relazioniamo in prima battuta. Le persone utilizzano le immagini come strumenti per relazionarsi nel mondo, perché la comprensione è più immediata e perché restano più impresse … e peraltro sui social fanno più visualizzazioni. Un esempio è già stato citato da Paolo Ruffini: è l’immagine di Papa Francesco che cammina da solo sul sagrato di piazza San Pietro il 27 marzo dello scorso anno. Un altro esempio significativo è l’immagine del presidente della Repubblica Mattarella (c’è una bellissima foto ancora pubblicata sul sito del Quirinale) mentre si muove tra le macerie di Amatrice. Ecco, in quella foto, accanto a lui c’è un Corazziere, che presta di solito servizio al Quirinale: è un’immagine forte, se vogliamo anche simbolica, di uno Stato, dell’intera comunità nazionale, che rende omaggio alle vittime del sisma. Si tratta – questi come altri esempi che potremmo citare – di momenti che interpellano noi giornalisti, uomini e donne di comunicazione, in questo caso nel campo della televisione, a rivalutare sempre più le immagini come un messaggio forte, completo e – si spera – esaustivo. Nei servizi televisivi spesso sentiamo troppe parole pronunciate da un giornalista e meno effetti audio e video: e questo apre un capitolo del protagonismo di noi giornalisti sulla notizia stessa. Ha più valore l’immagine del giornalista che firma il servizio o la notizia, qualunque essa sia, che si sta comunicando? Rivendicando che la firma conta, che la bravura, la competenza, la serietà, la capacità di analisi del giornalista siano comunque fondamentali e imprescindibili, però credo che la notizia debba tornare ad essere il nostro vero datore di lavoro. Non possiamo dimenticare, o meglio dobbiamo ogni giorno ricordarci, che il nostro mestiere, tra le sue svariate funzioni, comprende quello di comunicare in modo chiaro e semplice alla gente. Siamo il mezzo attraverso il quale portiamo i fatti accaduti anche a chilometri di distanza nelle case delle persone. Abbiamo, insomma, una grandissima responsabilità. Fin dal primo giorno del mio insediamento alla guida di Tv 2000 ho insistito sul concetto che anche una emittente come la nostra può e deve fare servizio pubblico … e fare servizio pubblico significa parlare a tutti, senza distinzione, senza preoccuparsi dell’età, degli interessi, offrendo contenuti per tutti, credibili. È ciò che per esempio cerchiamo di fare a Tv 2000, con la speranza che ciascuno possa trovare qualcosa che gli interessi, oppure trovare delle sorprese che gli stimolino interessi, per convincerlo quindi a rimanere a guardare la nostra tv. Ecco, per fare ciò dobbiamo tenere monitorati gli andamenti e soprattutto le nuove sfide che i media pongono oggi. Sicuramente il peso nella società della televisione è notevole, ma è cambiata – come sappiamo e ancora più cambierà nei prossimi anni – la modalità di fruizione … e quindi anche i contenuti dovranno adeguarsi e si stanno già adeguando. Vedi il fenomeno delle smart tv, dello streaming, della trasmissione via Internet. La tv vede oggi ridotta la propria sacralità. “Lo hanno detto alla tv” non è più una garanzia, anzi, spesso è altro. Più frequentemente si sente dire ormai: “L’ho letto e l’ho visto su Internet”; “L’ho visto, l’ho letto su Instagram, su Twitter”. L’evoluzione tecnologica ha reso necessario un ripensamento del ruolo della tv, oggi al pari di Internet come mezzo di comunicazione. Ma è probabile che i due mass media continueranno a convivere, accanto, per lungo tempo, proprio perché hanno una struttura differente e caratteristiche che li rendono perfettamente integrabili fra di loro. L’evoluzione-cambiamento tocca due dimensioni: il tempo e lo spazio. Internet, attraverso lo streaming, per esempio ha regalato all’offerta televisiva la possibilità di essere al servizio di chiunque, in qualunque momento e in qualunque luogo: un’evoluzione che muta radicalmente anche il ruolo del telespettatore che diviene, lo sappiamo, fortemente attivo. In questa nuova veste il telespettatore assurge a guida di una comunicazione che diventa tematica e si divide e si differenzia in tante nicchie diverse per interessi e argomenti. L’intreccio di vecchi e nuovi mezzi di comunicazione, dunque, ci induce ad una riflessione: la tv come il web richiede una quantità di immagini sempre maggiore e i giovani, purtroppo – anche se in pandemia qualcuno è tornato al gusto e al piacere della lettura – si informano solo attraverso i social e spesso cercano solo quello che si può vedere e non leggere. Allora il nostro lavoro richiede a tutti noi di essere sempre più specialisti delle immagini. Oggi i particolari fanno la differenza tra un video visto da milioni di persone e un altro che si perde nel grande mare del web. Allora “andare, vedere, ascoltare”, come ben evidenzia il titolo del convegno richiede a noi comunicatori una crescita di qualità sempre più al servizio della comunità, sempre più al servizio degli altri”.

Lascia un commento