Intervista a Gloria Giavaldi

Gloria Giavaldi, classe 1993. Dopo il diploma al liceo classico, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza. Prosegue gli studi, ma inciampa nella passione per la scrittura. Da sempre interessata al sociale, crede nel giornalismo capace di produrre risultati concreti. Racconta storie e raccoglie pezzi di vite coraggiose. Pubblicista appassionata, attualmente collabora con la testata online “Crem@online” e svolge attività di comunicazione e ufficio stampa per alcune associazioni operanti nel settore della disabilità. Ama raccontare buone notizie e descrivere la diversità con spirito di verità, convinta che il cambiamento culturale tanto richiesto passi necessariamente dalle parole. Quelle grazie alle quali rinasce ogni giorno, cucendosi addosso il coraggio e la speranza degli eroi del quotidiano.

 

 Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

 Raccontare storie di vite coraggiose per me è una sfida quotidiana. Il Premio Giornalistico “Alessandra Bisceglia” è una grande opportunità per aiutare il mondo a cambiare prospettiva in tema di diversità e a valorizzare le persone.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Sì, ma non abbastanza e con poca consapevolezza. Personalmente mi dedico solo a questo prezioso settore, e, nonostante questo, non mi stanco mai. Perché ogni storia è a sé ed ogni vita ha qualcosa da insegnare.  Mi auguro che questa attenzione nei riguardi della tematica possa contagiare sempre più colleghi, convinta che il cambiamento culturale tanto richiesto in tema di diversità passi necessariamente dalle parole.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

 Le parole hanno un peso. Per fare comunicazione sociale non basta saper “fare notizia”, bisogna usare empatia e aver cura dei termini impiegati. Cerco sempre di raccontare la diversità con spirito di verità, evitando, tanto il pietismo, quanto “l’abilismo”. Lo faccio profondamente convinta come sono che si potrà avere una piena integrazione sociale solo quando ciascuno di noi smetterà di avere paura delle parole. Perché risiede molta più ignoranza in un atteggiamento pietistico o negazionista, che nella volontà di descrivere la realtà per ciò che è. La diversità va difesa strenuamente e spiegata, chiamandola con il suo nome, per generare ed alimentare cultura, per raccontare e celebrare talenti diversi da quelli che le convenzioni ci suggeriscono.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

 Non necessariamente. Anche una notizia “vecchia” può fornire nuovi spunti. Le storie di vita dense di coraggio e di forza non passano mai di moda.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate offrono un servizio pubblico fondamentale, contribuiscono alla diffusione della cultura e sono protagoniste della costruzione di una consapevolezza che, soprattutto nel settore della comunicazione sociale, ancora manca.

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Un buon giornalista è colui che non si stanca mai di imparare e concepisce qualsiasi intervista come possibilità di arricchimento professionale ed umano. Non può bastare un eccellente stile di scrittura a rendere giustizia a storie di vita così ricche. Penso sia necessario anche calarsi nel dialogo, senza perdere l’obiettività, ed evitare il sensazionalismo. Lo stabiliscono le carte deontologiche in materia, ma, prima ancora, lo impone la coscienza.

Lascia un commento