Intervista a Francesco Gucci

Francesco Gucci nato a Gioia del Colle vive a Matera da tutta la vita. Laureato a Bari in Lettere e poi in  Scienze dell’Informazione Editoriale. Da sempre sogna di diventare giornalista e si avvicina al settore tramite diversi giornali online. Grande appassionato di sport, videogames, fumetti e informatica, decide dopo qualche anno di frequentare una scuola di giornalismo, quella dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, per poter finalmente accedere all’esame per diventare professionista. Collabora intanto con diverse testate online e cartacee.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Indubbiamente sì, c’è, purtroppo, poca attenzione mediatica verso le esperienze come quella della quale ci siamo occupati per il premio e non è stato così facile trovare informazioni e contatti. Poi, essendo sommersi di lavoro con la Scuola, non è stato semplice nemmeno ritagliarsi tutto il tempo necessario che un lavoro come questo necessitava.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Non quanto dovrebbe. Nel nostro piccolo proviamo a ritagliare il più possibile dello spazio per il tema dell’inclusione sociale e del riscatto delle persone affette da disabilità, molti di noi sono vicini alla tematica per motivi personali, di conseguenza, probabilmente, siamo più sensibili di altri alla questione.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Come diceva Nanni Moretti, le parole sono importanti. La differenza semantica tra parole può essere sottile ma il loro risultato può essere diametralmente opposto. Trovare il giusto mezzo è una sfida complicata, bisogna stare attenti a non usare parole che possano sembrare discriminatorie ma sarebbe quasi peggio scadere nel pietismo. Inoltre, ogni situazione ha delle contingenze specifiche per le quali è meglio scegliere una parola piuttosto che un’altra, non esistono parole già scelte, sta a noi scegliere ogni volta quelle giuste. In ogni caso, un giornalista che si possa considerare tale dovrebbe seguire sempre il faro dei “fatti”. Attenendosi strettamente alla descrizione di questi ultimi è più facile non perdere la bussola.

Le notizie devono essere sempre nuove?

Non necessariamente. Portare una notizia in senso stretto è utile e necessario per svolgere al meglio il mestiere, ma per temi come questo non è tutto. Lo scopo, in certi casi, deve essere sensibilizzare verso un tema poco conosciuto o verso il quale molti preferiscono girarsi dall’altro lato. Uno di questi è quello centrale del nostro video, la malattia mentale. Le patologie psichiatriche sono proprio il simbolo di ciò che si preferisce nascondere sotto il tappeto. Il nostro compito è sdoganare ‘la vergogna’ e dare alla gente la giusta prospettiva da cui guardare alle disabilità.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Anche qui non esiste bianco o nero, tutte le tastate nascono idealmente come servizio pubblico. Purtroppo, tutti devono fare i conti con le entrate. Io credo ancora fermamente nel giornalismo come informazione pura, anche se è inevitabile, in un momento storico come il nostro, il proliferare di non notizie commerciali, o peggio, di notizie false.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Il buon giornalista oggi è colui che rispetta le più basilari regole del mestiere, in primis la verifica delle fonti. Come detto, è facile farsi prendere dalla foga di essere tempestivi e rilanciare contenuti non verificati. La tempestività, però, è spesso sorella dell’approssimazione. Verificare le fonti è la base da cui partire, il resto lo fa la conoscenza. Il giornalista, per antonomasia, è un tuttologo, qualcuno che deve dimenarsi in ogni argomento senza scrivere o dire castronerie. Di conseguenza fare il giornalista significa studiare in maniera perpetua, il buon giornalista è quello che sa un po’ di tutto, ma è anche quello che quando non sa si ferma, si informa e poi informa.

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