Intervista a Federica Nannetti

Federica Nannetti, 25 anni di Bologna. Laureata in Lettere Moderne ma con il sogno di diventare giornalista fin dai banchi di scuola superiore, quando ha partecipato al concorso Repubblica@Scuola. Da ottobre 2019 frequenta il Master in Giornalismo della sua città, grazie al quale sta coltivando sempre più l’attenzione verso temi sociali e culturali. Allo stesso tempo, però, sta portando avanti l’altra sua grande passione: il pattinaggio artistico. Ha iniziato a praticare questo sport a soli quattro anni e oggi continua a trasmettere la sua dedizione allenando le nuove generazioni delle rotelle.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Considero una sfida tutto ciò che mi mette un po’ di adrenalina, un po’ di agitazione, un po’ di timore; e quindi sì, anche questa è stata una delle tante sfide alle quali mi sono messa di fronte. Sfide senza le quali, però, la vita non sarebbe ugualmente interessante. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Nel raccontare la storia di singole persone mi sono trovata a raccontare, in realtà, la storia di un gruppo, quasi di un corpo unico. E, allora, è proprio questo che mi ha colpito di più: la capacità di creare una rete, un legame talmente saldo da diventare un’unica realtà pur mantenendo le rispettive peculiarità. Il lavoro di squadra e la pianificazione dietro le quinte che tante volte rimane nascosta ai più sono il valore aggiunto. 

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Ovviamente deve essere oggetto di informazione tutto ciò che è di interesse pubblico, ma anche tutte quelle storie e quelle vicende più spesso nell’ombra che valgono la pena di essere conosciute per il loro valore etico e sociale. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Probabilmente non abbastanza. Molte storie meriterebbero di avere maggior visibilità, mentre l’impressione è quella di un’attenzione rivolta ai temi sociali solo in alcuni luoghi prestabiliti o occasioni specifiche. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Un po’ come in tutti gli ambiti penso vi siano effetti positivi ma anche negativi. Se, da una parte, hanno il merito di far conoscere alcune realtà che altrimenti potrebbero essere più difficilmente raggiungibili (io stessa ho potuto approfondire alcuni dettagli della mia storia grazie ai nuovi media e ai social), dall’altro sono in parte coinvolti in una dinamica di diffusione d’odio e di violenza. Atteggiamenti, questi ultimi, molto spesso rivolti ai soggetti più fragili. 

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Le parole vanno sempre scelte con cura, pazienza e riflessione, ma questo non solo nell’ambito della comunicazione sociale. Ogni occasione e ogni frangente ha un proprio linguaggio più adatto e, pertanto, è giusto scavare fino in fondo per la scelta migliore. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

La tempestività non può essere messa da parte, specialmente se si lavora per un quotidiano o per un telegiornale (o giornale radio) ma, allo stesso tempo, il buon giornalismo è fatto anche di approfondimenti, di ricerche e di inchieste. Non è nemmeno detto che da una notizia già data non possano venire fuori dettagli nuovi. Ecco perché dovrebbe esserci sempre la giusta dose di curiosità per far affiorare qualcosa di inedito o una prospettiva diversa. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Con rammarico è difficile negare come alcune testate siano diventate prodotti commerciali, tuttavia ci sono anche alcuni esempi di buon giornalismo che meritano di essere riconosciuti in quanto tali. 

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Questa è probabilmente la domanda più complessa a cui rispondere. Mi vengono in mente tante caratteristiche e qualità ma, in fin dei conti, quella che le racchiude tutte è il rispetto per il lettore. Un rispetto che non può che essere garantito attraverso l’attenzione e l’osservazione della realtà per restituirne una descrizione il più adeguata possibile e nel perimetro della deontologia. Solo così ogni giornalista, nel proprio piccolo, potrà aiutare ciascun lettore a essere un cittadino libero. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sono venuta a conoscenza del Premio grazie al Master in Giornalismo di Bologna che sto frequentando.

Intervista a Pietro Mecarozzi

Giornalista, autore e jazzofilo. Comincia a la Repubblica Firenze, poi La Nazione, Class, Vice, The Post Internazionale, Momento Italia, Gli Occhi della Guerra, The Vision, La Stampa, il Fatto Quotidiano, L’Espresso e Linkiesta. Un master in giornalismo politico-economico alla Business School de Il Sole 24 Ore, un libro alle spalle e tanta passione per politica, economia, inchieste e data journalism. Nel tempo libero? Charles Mingus, Milan e Dosto.

 

1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
Baby gang e baby boss

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?
Carceri, migranti, criminalità organizzata, soggetti deboli, discriminazioni

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

5. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

6. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?
Quelle vere

7. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?
Dipende, ci possono anche essere tagli diversi

8. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Un ibrido

9. Che significa essere un buon giornalista?
Fornire un servizio per la società, scoprire e svelare, fare chiarezza, non
essere autocelebrativi ma dietro alla notizia.

10.Come sei venuto a conoscenza del Premio?
È la seconda partecipazione

Intervista a Alice Martinelli

Toscana, giornalista professionista, è inviata del programma televisivo Le Iene show, dal 2017. Lavora in televisione dal 2014, grazie a Michele Santoro che ha scommesso su di lei inserendola nella squadra del suo Servizio Pubblico, (La7), ma ha cominciato nella carta stampata come cronista per Il Secolo XIX. Ha vinto i premi Lorenzo Perrone – Informare è prevenire (menzione speciale, 2012), Premio Cnog Formazione per l’informazione (2013), Premio Maurizio Rampino (2016), Premio L’Anello Debole del Capodanno Film Festival (2017), Premio Cristiana Matano (2020). Sognatrice curiosa e testarda, riassume tutti i pregi e i difetti del suo segno, il Capricorno: non fatela arrabbiare!

 

1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?
Sì, penso sia una grande sfida partecipare a un premio sul tema delle malattie rare e dell’inclusione delle persone diversamente abili. Ma la sfida più grande è quella di raccontare la storia di queste persone con l’equilibrio, la delicatezza e l’attenzione che meritano.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
La storia di Federico, il ragazzo che ci ha accompagnato nel servizio candidato per questo Premio è sicuramente una di quelle che mi ha, non tanto segnato quanto forse proprio arricchito di più. Federico è un toscanaccio con sindrome di down davvero speciale, non per il suo cromosoma in più ma perché vive la sua vita con un entusiasmo travolgente e si divide tra il teatro e il lavoro da cameriere in un ottimo ristorante di Livorno. Con lui abbiamo cercato di fare un piccolo gioco, per esorcizzare la tristezza dovuta a un tweet di cattivo gusto con cui un suo coetaneo aveva paragonato i bambini down ai social che, in quel momento, non funzionavano. Un po’ come dire che i ragazzi down non funzionano! Eppure Federico funziona eccome e nella nostra “caccia al cattivo” in giro per Lucca ci ha letteralmente conquistato.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?
Tutto ciò che è notizia!

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?
Penso che abbiamo sviluppato molta più sensibilità rispetto al passato nei confronti della Comunicazione Sociale. Basti pensare al filone delle Buone Notizie o a vere e proprie testate con un certo seguito (penso ad esempio a Redattore Sociale), interamente concentrato sulle buone pratiche ma anche sulle “cattive” notizie in ambito sociale.

5. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?
Penso che i nuovi media abbiano permesso alla Comunicazione sociale di trovare più spazio. Anche i social hanno aperto una finestra importante su tematiche un tempo più di nicchia, penso per esempio proprio al racconto dell’universo delle malattie rare che, grazie ai social, alle raccolte fondi, alle pagine di chi combatte per sé stesso o per un suo caro, sono diventate più conosciute anche a livello di grande pubblico. E di conseguenza i media tradizionali si sono allineati.

6. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?
Io penso che le parole “giuste” esistano, ed esistano a prescindere da cosa si comunica. Le parole giuste sono quelle specifiche ma equilibrate, non offensive, non allusive. E questo riguarda non solo la Comunicazione Sociale o la comunicazione intesa in senso generale come parte del “lavoro giornalistico” ma la nostra vita di tutti i giorni.

7. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?
In teoria, la notizia dovrebbe essere “nuova” di per sè ma in realtà, ci sono molte “sfumature” di questa “novità”. A volte la notizia è proprio nel fatto che una cosa risaputa da tempo non è mai cambiata, oppure può essere un fatto vecchio che torna attuale per un qualche motivo. Più che considerare solo la “novità” in senso assoluto, direi che un fatto/accadimento diventa notizia quando e se ha una serie di caratteristiche (tra cui anche la novità) che lo rendono “notiziabile”.

8. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Credo che le testate abbiano assolutamente una funzione di servizio pubblico.

9. Che significa essere un buon giornalista?
Un buon giornalista è intellettualmente onesto se con il suo racconto può cambiare in meglio le cose si può dire che abbia fatto anche un buon lavoro.

10. Come sei venuto a conoscenza del Premio?
Sul sito dell’Ordine dei Giornalisti approfondendo sul sito della fondazione Viva Ale.

 

 

 

 

Intervista a Caterina Maggi

Nata il 1 Maggio 1996 a Genova, decide di seguire la vocazione giornalistica dopo la laurea in Lettere e un viaggio in Palestina. Scrive da sempre, ma le interessano le piccole storie di persone comuni, o i racconti di avvenimenti in luoghi remoti. Il suo sogno è diventare corrispondente da Sud America o area MeNa per un quotidiano o televisione.

Intervista a Andrea Lattanzi

Andrea Lattanzi (Carrara, 1987), è un giornalista pubblicista e videomaker che lavora e vive a Milano. Laureato in Scienze della Politica e dei Processi Decisionali si occupa di realizzare contenuti video e documentari per il Gruppo Gedi, in particolare per i siti di Repubblica e La Stampa. Autore del saggio “Librai: si salvi chi può” (GoWare) sulla trasformazione dei mestieri legati all’editoria tradizionale, ha pubblicato nel 2018 il libro “Eravamo tanto amati”, dal quale è tratto l’omonimo documentario sulla fine del Partito Comunista Italiano in Toscana. Appassionato di scienza e viaggi, è tra i fondatori dell’associazione GvPress, che tutela il lavoro dei giornalisti videomaker in Italia.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Assolutamente sì. Difficilmente partecipo a premi ma visti gli oggetti e le finalità del premio Bisceglia, più che una sfida, partecipare è un piacere.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Se parliamo di temi legati alla sanità, sicuramente è stato il lungo travaglio dei primi pazienti covid del marzo 2020, in particolare di coloro che, anche a mesi di distanza dalla malattia, non hanno recuperato al 100% e fanno fatica a riprendersi la loro vita. Più in generale, il caso che mi ha segnato maggiormente è quello legato alla rotta balcanica dell’informazione che ho avuto occasione di raccontare in una serie di servizi e in un documentario che ho realizzato a gennaio di quest’anno.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto ciò che interessa al giornalista in quanto individuo e tutto ciò che interessa al pubblico in quanto audience. Un fatto, se non c’è nessuno disposto a raccontarlo o farselo raccontare, non sarà mai oggetto di informazione. Altresì, laddove vi sia un giornalista e qualcuno disposto ad ascoltarlo. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Sì, ma purtroppo la sua presenza è troppo legata a contingenze di attualità. Pertanto si rischiano semplificazioni dettate da tempi di pubblicazione e necessità di messa in onda.

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Da un lato c’è sicuramente l’amplificazione e la possibile maggior risonanza dei suoi oggetti, dall’altro il rischio è – soprattutto con i nuovi media – che questi oggetti diventino oggetto di scherno, odio, discriminazione. I nuovi media non solo servono a raccontare qualcuno ma ci raccontano chi siamo. E non sempre questo racconto ci fa propriamente onore.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Una parola è una parola, dipende sempre da chi e come viene utilizzata. Senza entrare nel dibattito sul “politicamente corretto” io penso che prima di tutto vengano le finalità con cui una parola è utilizzata. Può sembrare una logica relativistica, e forse lo è, ma riguarda a spettro più ampio il tema della responsabilità: quando si comunica si deve essere in grado di assumersi il peso delle conseguenze di ciò che si dice. Nel bene o nel male.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Assolutamente no. So che la deontologia presupporrebbe il contrario, nella canonica definizione di notizia, ma con i continui aggiornamenti che si ricevono ogni giorno grazie a Internet è bene che ci sia qualcuno che approfondisca e curi una notizia anche tempo dopo, guardando magari ad altre sfaccettature. L’importante è non spacciare come nuova notizia una notizia che nuova non è. E in questo, soprattutto sui social, le testate non sono particolarmente attente, dimostrando scarso rispetto per i loro lettori e gli utenti di tali social.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

La domanda è molto difficile e richiederebbe una risposta molto complessa e, forse, oltre le mie competenze. Diciamo che le testate sono vincolate dall’ecosistema dei media (Internet+radio+tv+carta stampata) a essere un prodotto commerciale competitivo per assicurarsi accessi/vendite e quindi poter rivendere dati/spazi agli inserzionisti pubblicitari. Questo non preclude la possibilità di essere anche un servizio pubblico, o meglio di fare servizio pubblico ma, chiaramente, vincola molto lo sviluppo di tematiche di scarso richiamo immediato che richiederebbero tempi di fruizione maggiore con meno possibilità di introiti pubblicitari. Se poi si pensa che anche “il” servizio pubblico per eccellenza, cioè le emittenti che fanno capo alla televisione di stato devono, in qualche modo, sottostare a certe logiche, allora si capisce bene quando l’ago della bilancia penda nettamente più a favore del prodotto commerciale che del servizio pubblico.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Raccontare un fatto, una storia o un fenomeno sociale al meglio delle proprie possibilità e con gli strumenti di cui si dispone, attenendosi per quanto possibile a una verità oggettiva ma non disdegnando l’interpretazione di quanto si cerca di portare all’attenzione del pubblico. Pubblico che, però, deve essere messo al corrente di tale interpretazione.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite social media.

Intervista a Emanuele La Veglia

Giornalista professionista classe 1992, ha iniziato a scrivere articoli subito dopo il diploma. Su Ohga racconta storie di persone speciali tra salute e sostenibilità, mentre su Vanity Fair collabora alla rubrica “Donne nel mondo”. Parallelamente si occupa di tecnologia per testate specialistiche e di comunicazione per eventi e blog aziendali. Ama leggere e stare a contatto con la natura. Ex Sky e AdnKronos, ha uno spiccato interesse per le tematiche di inclusione sociale, frutto delle esperienze di volontariato, tra Caritas, Servizio Civile Nazionale e Società Umanitaria. Negli ultimi anni ha vinto tre premi giornalistici, indetti rispettivamente dal Rotary Club, dalla redazione L’altrapagina e dal Festival del Giornalismo Culturale. È laureato con lode in Editoria, culture della comunicazione e della moda all’Università Statale di Milano.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sicuramente. Nella scelta dell’articolo con cui concorrere, mi sono concentrato su quelli dove emergevano, al tempo stesso, un vissuto personale e la descrizione di una malattia rara. Una storia in cui emergesse la volontà di divulgare e far conoscere gli effetti di una particolare sindrome attraverso iniziative sociali.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Tra quelle di cui ho scritto ci sono alcune storie che mi hanno toccato di più e, a mia volta, ho cercato di restituire ai lettori quello che ho ricevuto. Penso alle testimonianze di ragazzi che hanno realizzato i loro sogni o a delle grandi manifestazioni d’amore. Quando capita una frase, durante mie le interviste, che mi colpisce nel profondo tendo a inserirla sin dal titolo per far entrare subito nel vivo chi legge.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto quello che non si sa ed è necessario che si sappia. Da un riepilogo su un determinato argomento, magari di natura scientifica, fino agli episodi nascosti, che si svolgono lontano dai riflettori e che meritano di essere conosciuti. Oggi l’informazione passa attraverso il giornalismo, ma diventa centrale in tanti altri contesti, dalle aziende alla sfera istituzionale. Il denominatore comune è un aggiornamento costante, con cui ricambiare la fiducia che le persone ripongono negli operatori dell’informazione.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

 Esistono agenzie di stampa, siti, e non solo, che hanno come focus proprio il sociale. Il panorama è comunque ampio. In alcune testate specialistiche è più difficile declinare i propri temi verso risvolti sociali, perché spesso gli argomenti trattati sono molto tecnici. D’altra parte, in quelle generaliste l’attualità tende ad occupare parecchio spazio, mettendo in secondo piano il mondo del volontariato o le esigenze dei più deboli. Credo tuttavia che, soprattutto dopo il periodo di lockdown, si sia tornati alla ricerca dell’essenziale, soffermandosi su segnali di speranza e buone notizie.  

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Possono essere un grande trampolino di lancio. Attraverso i social media un’associazione, anche piccola, può far conoscere in tutta Italia le proprie battaglie, allargando il proprio raggio d’azione. La rete, in generale, può rappresentare un’occasione per veicolare progetti di integrazione, iniziative di solidarietà e traguardi nella ricerca.       

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Qualche anno fa all’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, ho seguito un corso dal titolo “Tra le parole e i fatti: dove i pregiudizi condizionano la comunicazione”. Esperti del settore hanno esplorato una serie di titoli o articoli dove si rischia di far scattare l’odio e il giudizio, magari inconsapevolmente. Perché, ad esempio, si tende a specificare a tutti i costi la provenienza etnica o geografica di una persona? Dovremmo piuttosto raccontarne le motivazioni, i sogni, le aspettative… 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

 Personalmente, oriento la mia ricerca verso notizie inedite in base alle fonti di cui dispongo. In ogni caso si può riprendere senza problemi un fatto già noto, optando per un approccio diverso dal solito. Ad essere nuovo sarà così il punto di vista che spesso capovolge quello che crediamo di sapere.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Un prodotto editoriale, a mio parere, assume una funzione diversa a seconda del target a cui è rivolto. Hanno un intento commerciale le testate aziendali e le varie manifestazioni di brand journalism. Il servizio pubblico è svolto in primo luogo dalla Rai, ma la totalità dei giornalisti iscritti all’albo deve impegnarsi nel diffondere la verità e a svolgere un ruolo chiave per la comunità.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Scegliere questa professione influisce sull’intero stile di vita. Non è una questione di buoni o cattivi, ma di alcune accortezze non intervenire pubblicamente se non si è preparati per farlo. Muoversi in coscienziosità, ricordando che si sta rappresentando una categoria che ha illustri predecessori.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Mi sono imbattuto nel bando durante una delle mie rassegne mattutine e ho pensato che era il momento giusto per parteciparvi. Mi muovo da anni nel sociale, sia lato comunicazione che con attività sul campo, e sono sempre attento a recepire alle novità e agli spunti che mi circondano.

Intervista a Domenico Gramazio

Domenico Gramazio è nato 35 anni fa a Foggia ed è giornalista professionista dal 2017. In possesso di laurea magistrale in Scienze della Comunicazione, conseguita all’Università di Salerno nel 2011, ha mosso i primi passi nel giornalismo a Salerno, città dove si è trasferito per studio dal 2004 e dove vive tutt’ora. Pubblicista dopo l’esperienza presso il quotidiano Il Nuovo Salernitano diretto dall’attuale deputato Gino Casciello, ha conseguito altre esperienze nel mondo dell’informazione. Quella più importante resta presso la redazione Metropolis, quotidiano a diffusione regionale tra le province di Napoli e Salerno, in cui ha trovato lavoro stabilmente dal 2012 al 2016. Dal 2017 è entrato a far parte del quotidiano La Città: prima come collaboratore esterno, poi come redattore web ed infine come redattore del quotidiano leader dell’informazione in provincia di Salerno.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

 Assolutamente sì. La diffusione e lo sviluppo di una cultura della solidarietà e dell’integrazione delle persone diversamente abili penso che debba essere una priorità per noi giornalisti.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La storia dello scafatese Ferdinando Muollo, da mandante di un omicidio di camorra, condannato a 12 anni e 6 mesi con sentenza passata in giudicato, a coordinatore degli aiuti, con l’aziende di famiglia, a ospedali e associazioni per fronteggiare l’emergenza coronavirus.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

 Le storie. Raccontare quello che la gente non conosce e che possa dare un segnale di speranza.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

 Sempre sul quotidiano “La Città” (www.lacittadisalerno.it).

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Oggi quello che magari era un tabù oggi viene sdoganato senza problemi. E dunque anche la comunicazione sociale ha tratto benefici in questo.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Il limite è nell’evitare che il lettore venga turbato da termini inopportuni nel contesto in cui ci si va a muovere.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Sempre.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

 La risposta è nel mezzo. Sono un po’ l’una e un po’ l’altra. Perché in primis rispondono a gruppi aziendali e dunque si muovono in certi canoni. Del resto, però, l’informazione ha la sua vocazione che non può essere snaturata dalle logiche di mercato. 

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Essere onesti con se stessi e con i lettori, cercando di scrivere sempre quello che si vede con i propri occhi. Avvicinandosi sempre più alla realtà dei fatti, senza snaturarla. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Attraverso una ricerca su google.

 

 

Intervista a Filippo Gozzo

Filippo Gozzo nasce il 14 maggio 1996 a Ferrara. Appassionato di sport, soprattutto di calcio, scopre il giornalismo al liceo, quando partecipa alla redazione del giornalino d’istituto. Nel 2018 si laurea in Lingue, Civiltà e Scienze del Linguaggio all’Università Ca’ Foscari di Venezia, con una tesi sulle presidenze Chávez e Maduro in Venezuela. Nel 2020 ottiene la laurea magistrale in Politiche Europee e Internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con una tesi sulle relazioni diplomatiche tra le dittature sudamericane degli anni ’70 e la presidenza Nixon negli Stati Uniti. Sempre nello stesso anno svolge un periodo di stage presso le trasmissioni di cronaca e informazione di Telelombardia. Vive da 3 anni a Milano e oggi è giornalista praticante. Frequenta la Scuola di Giornalismo Walter Tobagi e scrive sul suo blog personale di approfondimento sportivo “Var Sport”.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Non è una sfida, è un impegno sociale. Se si scrive di questo tema in modo naturale, sentito e coinvolto, non è mai un peso o una difficoltà.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Probabilmente proprio il caso che presento per il Premio. È stata una fortuna poter parlare con chi, ogni giorno, sostiene, aiuta a crescere, coinvolge ragazzi con disabilità cognitive e gli trasmette la passione per lo sport e l’importanza del gruppo. È un’esperienza che fa comprendere quanto sia essenziale non dimenticarci degli altri.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

 Qualsiasi cosa che incida sulla vita delle persone, sia in senso positivo che in quello negativo. Ci devono essere limiti, ma non si può privare il lettore della conoscenza di ciò che lo circonda.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

 Non a sufficienza. Spesso si privilegiano altri argomenti e la Comunicazione Sociale viene relegata in fondo ai quotidiani. Per fortuna esistono riviste che mettono in risalto tematiche sociali.

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Con l’arrivo dei Mass e New Media è cambiato il modo di fare comunicazione sociale. L’impatto visivo delle tematiche affrontate rende l’argomento più “emotivamente” interessante, profondo e comprensibile. L’utilizzo di campagne pubblicitarie influisce in modo sempre maggiore sullo sviluppo di determinati argomenti, comportamenti e atteggiamenti. Porta all’attenzione del lettore o dell’ascoltatore tematiche che possono sembrare lontane se non lo coinvolgono direttamente.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

L’importante è che i concetti siano giusti e affrontati nel modo più corretto possibile. Certo è che esistono termini appropriati, più sensibili e indicati per parlare di alcuni argomenti. Ma fondamentale è il rispetto dei soggetti di cui si sta raccontando la storia. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non necessariamente. A volte si possono affrontare le stesse notizie da angolature differenti, attraverso spunti originali che possano fornire una visione d’insieme, anche alternativa, della notizia trattata. In ogni notizia ci sarebbe sempre qualcosa in più da dire di quello che si scrive e si racconta. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate sono prodotti commerciali che svolgono un servizio pubblico. Il problema sorge quando gli interessi economici che derivano dal prodotto influenzano il servizio che la testata svolge a livello sociale. In questi casi prevale la componente economica rispetto a quella sociale.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Un buon giornalista ha il compito di informare il lettore in modo completo, semplice, coerente ed efficace. Deve essere bravo a mettere a conoscenza il pubblico di quello che potrebbe interessargli. I giudizi, le opinioni, le idee sono innate nel mestiere del giornalista, non si può pretendere che comunichi in modo totalmente asettico. Ma deve saper discernere tra un’opinione d’interesse o meno del lettore. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite una comunicazione della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi di Milano.

 

Intervista a Gloria Giavaldi

Pubblicista appassionata, da sempre interessata al sociale, crede nel giornalismo capace di produrre risultati concreti. Scrive storie e raccoglie pezzi di vite coraggiose. Vivendola tutti i giorni sulla propria pelle, ama descrivere la diversità con spirito di verità, convinta che il cambiamento culturale tanto richiesto passi necessariamente dalle parole. Attualmente collabora con la testata web Crem@online, partecipa al progetto Sogna Forte del noto giornalista Iacopo Melio e svolge attività di comunicazione e ufficio stampa per alcune associazioni operanti nel settore della disabilità.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

 No, è un piacere ed un impegno nel quale credo molto. Per me significa provare a raccontare uno spaccato di vita quotidiana che sperimento tutti i giorni sulla pelle. Nonostante questo, penso che ogni storia mi offra l’occasione per crescere e migliorare, dal punto di vista umano, prima che professionale. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

 Ogni storia è importante, perché differente ed unica. Tutte, però, sono accomunate dal coraggio di riuscire, di andare avanti abbracciando gli ostacoli. È questo il più grande insegnamento che ogni giorno porto con me.  Quella di Francesca e Jacopo, che ho scelto di candidare al concorso, mi ha colpito per la delicata schiettezza con cui ci accompagna alla scoperta di un amore silenzioso ma vero, che lega le persone oltre ogni differenza.   

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

 Il nostro è un lavoro a servizio della verità. Raccontare la verità nell’ambito della comunicazione sociale significa scavare, andare oltre il pregiudizio per far emergere la ricchezza della diversità, lontano da ogni forma di pietismo. Non esistono solo le difficoltà o i meritati successi sportivi degli atleti paralimpici, ma anche storie di ordinaria determinazione rispetto alle quali è un dovere non restare indifferenti.  

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Sì, ma non abbastanza. Viene considerata ancora una tematica ‘di nicchia’. Mi auguro che la situazione possa cambiare, convinta come sono che il cambiamento culturale tanto richiesto passi necessariamente dalle parole. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

 Entrambi hanno contribuito alla diffusione di storie ed esperienze, ma credo che la strada da fare sia ancora molta. Al momento la disabilità viene concepita ancora come una ‘cosa degli altri’, degna di reale considerazione solo quando ci riguarda da vicino. Spesso le narrazioni proposte sono superficiali, dense di parole ‘sbagliate’, che non descrivono le persone, ma la loro disabilità. E le persone non sono (solo) la loro disabilità.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Assolutamente sì, sono quelle che rispettano le persone e descrivono la realtà per ciò che è, senza cadere nel pietismo, né nell’abilismo. Sono quelle che raccontano la verità. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

No. Le storie sono sempre nuove anche quando non presentano una notizia attuale. Basta non stancarsi di guardarle da una prospettiva sempre nuova. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

 Svolgono un servizio pubblico fondamentale, del quale a volte manca la consapevolezza. 

  1. Che significa essere un buon giornalista?

 Un buon giornalista è curioso, attento, appassionato. Pesa le parole, evita il sensazionalismo. È obiettivo, empatico e ama ascoltare. Non resta in superficie, mira al fondo o, spesso agli angoli: lì si nascondono le storie migliori. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

 Ho conosciuto questa bella iniziativa capitando per caso sul sito web.

Intervista a Sara Fiumefreddo

Sara Fiumefreddo, 20 anni, nata e residente a Molfetta (BA), il 01/02/2001, ha frequentato il Liceo Classico Leonardo da Vinci di Molfetta, dove ha potuto approfondire la cultura umanistica in tutti i suoi aspetti, per poi iscriversi, nell’anno accademico 2019/2020, al corso di laurea triennale in Scienze della Comunicazione all’Università degli studi di Bari Aldo Moro. Dal 2016 ha collaborato con il periodico mensile Quindici Molfetta e con il quotidiano Quindici on-line. A giugno 2020 è diventata giornalista pubblicista.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Partecipare ad un Premio Giornalistico di un tema così specifico rappresenta una sfida, ma soprattutto un arricchimento.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La storia che ho raccontato che mi ha segnata maggiormente riguarda la testimonianza di Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo Borsellino e ospite di un’assemblea di istituto organizzata dal mio istituto superiore, il Liceo Classico “Leonardo da Vinci” di Molfetta.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Oggetto d’informazione è tutto ciò che ha rilevanza sociale e risponde al criterio dell’interesse pubblico. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

A mio parere sì. Negli ultimi anni, in linea con le politiche europee, si dà sempre più spazio a questo aspetto della Comunicazione. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

I mass media e i new media possono rappresentare un’ottima opportunità per la diffusione ad ampio respiro di notizie sociali. Un abuso degli stessi è una delle principali cause di disinformazione.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Nella Comunicazione esistono parole per trattare la verità.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

In generale, la risposta è affermativa, specie se si tratta di testate telematiche che devono pubblicare le notizie in tempo reale. La risposta può variare per quel che concerne i periodici.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Non tutte. La serietà e la qualità dell’informazione si distinguono ancora.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Essere un buon giornalista significa coltivare l’amore per la professione, e in particolare per la verità, in qualsiasi circostanza.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sono venuta a conoscenza del Premio attraverso una ricerca sui motori di ricerca inerente a premi destinati ai giornalisti.