Intervista a Luca Pons

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?


Penso di sì. Un premio giornalistico non solo stimola l’attenzione dei professionisti dell’informazione – soprattutto i più giovani – attorno a un certo tema, ma dà la possibilità anche al pubblico di conoscerlo meglio. Raccogliendo lavori diversi, sia per formato sia per argomento, diventa un contenitore e arricchisce il dibattito su un tema come i diritti delle persone con disabilità. Un tema specifico, sì, ma che grazie ai lavori in concorso viene approfondito da molti punti di vista. Così mostra tutta la sua profondità, varietà e anche universalità.

2.Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Nell’articolo che ho inviato per il concorso approfondisco una realtà che prima conoscevo poco: la legge sul Dopo di noi, le associazioni che hanno combattuto per ottenerla e che lavorano per mantenerla viva. Sono tante le storie che ho sentito, parlando con i rappresentanti di queste associazioni: famiglie mosse dalla sincera angoscia di dover condannare i propri figli o figlie a vivere la propria vita in strutture di cura che ne avrebbero impedito lo sviluppo personale e, in sintesi, la felicità. E poi la storia di come queste famiglie si sono messe insieme per far valere la propria voce, e come dopo anni questo ha dato frutto con una legge. La storia delle associazioni che raccolgono gli effetti positivi di questa legge, e ogni giorno aiutano decine di persone nel loro percorso di vita. Nell’articolo, poi, ho analizzato anche l’altra parte della storia: quella dei limiti burocratici e amministrativi che mettono a rischio la legge sul Dopo di noi.

3. È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?

È necessario. Personalmente, credo che l’oggettività – o perlomeno l’onestà – sia un elemento imprescindibile per riportare soprattutto le situazioni di sofferenza. Certo, oggettività non significa equidistanza a tutti i costi. Il racconto giornalistico ha il potere di dare spazio a voci di persone marginalizzate: è loro diritto esprimere la sofferenza, in modo ovviamente personale e soggettivo. È dovere del giornalista dare loro lo spazio che meritano. Ma la voce del cronista non può mescolarsi alla loro e perdere ogni distinzione. Altrimenti, a mio parere, un lavoro giornalistico perde la sua misura di notizia e racconto, e diventa pura piattaforma. Che è un’attività nobile, ma separata.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Dipende dalle testate, ma se si parla di quelle più seguite, purtroppo, lo spazio tende a essere limitato. Personalmente mi occupo di politica, ma lo stesso concetto si applica alla cronaca e ad altre sezioni di una testata, specialmente di tiratura nazionale. È facile cadere in automatismi che valorizzano il traffico e la sensazionalità, invece di dare il giusto spazio alle storie che meritano di avere diffusione, anche nell’ambito della comunicazione sociale.

5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?

Penso che qui la risposta più classica sia “no, nel giornalismo ci deve essere spazio anche per approfondire e per dare rilevanza a storie significative che non sono una notizia in sé e per sé”. Che è vero. Propongo però anche un ragionamento opposto: cos’è una notizia? Bisogna raccontare notizie nuove, perché raccontare solo cose già note a chiunque non avrebbe senso. Ma rendere nota una storia di comunicazione sociale, che permette di conoscere una realtà prima ignorata o di leggere la realtà in modo diverso, è dare una notizia eccome.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Secondo me oggi sono, come sono sempre state, entrambe le cose. Dalla natura commerciale del giornalismo non si scappa o quasi: è nato come un mestiere e come un’industria, che per andare avanti ha bisogno non solo di professionisti ma anche, va detto, di soldi. Lo Stato o chi per esso può intervenire, con fondi pubblici, per garantire che non abbiano spazio solo le realtà con un successo commerciale. Questo è un tema rilevante. Secondo me però la natura commerciale del giornalismo non va demonizzata: va compresa, e al suo interno bisogna capire come si può premiare chi fa un buon servizio pubblico con il suo lavoro.

7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?

Credo di sì, e si ritorna al discorso degli automatismi che valorizzano traffico e sensazionalità. Serve uno sforzo cosciente per uscirne. Per dare, ad esempio, un titolo che attira l’attenzione perché è informativo e risponde a una domanda, ma non perché attiva una paura o un allarme in chi legge. Per fare uno sforzo di verifica in più, evidenziare anche l’aspetto più “tranquillizzante” di una tematica. L’equilibrio esiste e ci sono molte realtà che lo testimoniano. Ma serve uno sforzo.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Non è la prima volta che partecipo, ma la prima volta me ne hanno parlato alcuni conoscenti che lavorano nell’ambiente. Appena ho saputo la tematica del premio,