VII Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia, vincono nelle diverse categorie Federica Nannetti, Lara Martino e Giuseppe Facchini

27 settembre 2023

COMUNICATO STAMPA

La consegna dei premi nel corso di un evento che si è tenuto ieri 26 settembre a Roma su iniziativa della Fondazione Alessandra Bisceglia, dell’Ordine dei giornalisti del Lazio e dell’Università Lumsa

ROMA – Sono Federica Nannetti, Lara Martino e Giuseppe Facchini, i giornalisti che hanno vinto
la settima edizione del Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia, rispettivamente nelle sezioni “Articoli su agenzie di stampa, quotidiani e periodici”, “Servizi radio-televisivi”, “Servizi, articoli, podcast e multimediali sul web”.


L’obiettivo del concorso, al quale partecipano ogni anno candidati da tutta Italia, è quello di sostenere l’impegno dei giovani giornalisti nella diffusione di una cultura di solidarietà, integrazione e inclusione
e di promuovere una corretta informazione sulle malattie rare e sull’equità dell’accesso alle cure.

Moderata da Roberto Giacobbo e Fabio Zavattaro la consegna dei premi e dei riconoscimenti speciali.
Primi classificati: Federica Nannetti, premiata dal noto giornalista e conduttore, nonché socio fondatore della Fondazione Alessandra Bisceglia, Roberto Giacobbo, ha vinto con l’articolo “Luisa Rizzo, la campionessa di droni con atrofia muscolare spinale: così posso volare e sogno il cinema” (edizione di Bologna del Corriere della Sera); Lara Martino, premiata dal direttore di TV2000, Vincenzo Morgante, si è distinta con il servizio dal titolo “Il nonno di Genny” (Rai Tgr Campania); Giuseppe Facchini, premiato dal caporedattore della TGR Campania, Oreste Lo Pomo, ha vinto con “Ramini, argento ai mondiali di Paraclimbing: dopo il coma, provo un senso atomico di libertà” (Fanpage).


Secondi classificati: per la sezione “Articoli su agenzie di stampa, quotidiani e periodici” abbiamo Giacomo Puletti con “La luce dell’arte illumina il nero di Burri anche per i non vedenti” (Il dubbio); per “Servizi radio-televisivi” c’è Marco Di Vincenzo con “La campionessa di para pole dance” (RSI News); per la sezione “Servizi, articoli, podcast e multimediali sul web”, Alessandra Lanza con “Senza barriere: la storia di Mohammed” (VD news).
Terzi classificati: per la sezione “Articoli su agenzie di stampa, quotidiani e periodici”, Dario Vito con “Intervista a Simone Mantero, ragazzo cardiopatico e trapiantato di cuore” (Inchiostro); per “Servizi radio-televisivi”, Andrea Caruso con “La vendemmia dei divinamente abili” (Rai Tgr Campania); per la sezione “Servizi, articoli, podcast e multimediali sul web”, il lavoro a quattro mani di Davide Giuliani e Giulia Paltrinieri con “Il suono del silenzio” (Q Code Magazine).

Come in ogni edizione, sono stati assegnati riconoscimenti speciali, ad Adriano Biondi per Fanpage, Gabriella Facondo per il programma di TV2000 “Siamo noi” e a Vera Martinella per la sezione di Corriere.it “Sportello Cancro”. I premi del concorso – dedicato alla memoria di Alessandra – sono stati consegnati nel corso dell’evento conclusivo che si è tenuto il 26 settembre nell’Aula Magna dell’Università Lumsa di Roma. A fare gli onori di casa, Raffaella Restaino, referente per i rapporti istituzionali della Fondazione e mamma di Alessandra e il papà di Ale, Antonio Bisceglia.
La premiazione è stata preceduta da un corso-convegno dal tema “Il giornalismo e le grandi paure. I media tra allarmismo e corretta informazione” – promosso dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio, dalla Fondazione Alessandra Bisceglia e dall’Università Lumsa – che ha garantito ai partecipanti (50 circa in presenza e 70 da remoto), 5 crediti formativi.
Numerosi gli ospiti e i relatori, che con i loro interventi hanno suscitato curiosità e interesse fra le persone in sala, consegnando ai partecipanti l’immagine di un giornalismo in continua evoluzione e allo stesso tempo capace di parlare di tematiche sensibili senza cadere nel sensazionalismo.
Per i saluti istituzionali sono intervenuti: Donatella Pacelli, docente Lumsa e vicepresidente della Fondazione Alessandra Bisceglia; Francesco Bonini, rettore della Lumsa; Marcello Cattani, presidente di Farmindustria; Paola Spadari, consigliera segretaria dell’Ordine nazionale dei Giornalisti; Guido D’Ubaldo, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio.

Relatori del convegno, moderato da Andrea Garibaldi, giornalista e presidente di giuria del Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia: Mario Morcellini, professore emerito di Sociologia dei Processi culturali e comunicativi, Università Sapienza di Roma; Lucia Goracci, inviata Rai; Carlo Chianura, direttore del Master di Giornalismo dell’Università Lumsa; Mirella Taranto, capo Ufficio stampa dell’Istituto Superiore di Sanità; Oreste Lo Pomo, caporedattore Tgr Campania; Roberta Serdoz, caporedattrice TgR Lazio; Giorgio Saracino, giornalista e collaboratore Rai; Ilaria Beretta, giornalista e collaboratrice di Avvenire.
A concludere l’evento, la presidente della Fondazione e sorella di Ale, Serena Bisceglia – che ha ringraziato tutti coloro che hanno consentito la perfetta riuscita dell’evento – e la vicepresidente,
Donatella Pacelli.


La manifestazione è stata patrocinata da: Camera dei Deputati, Regione Lazio, Istituto Superiore di
Sanità, Ufficio Comunicazioni Sociali del Vicariato di Roma, Federazione nazionale stampa italiana, Istituto Luigi Sturzo, Rai per la Sostenibilità e sostenuta da: Farmindustria, Consiglio Nazionale Ordine dei giornalisti, Consiglio regionale di Basilicata, Comune di Lavello, Dipartimento Scienze Umane LUMSA, Media partner: TV2000, inBLU2000, Avvenire.

Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia: manifestazione finale il 26 settembre alla Lumsa di Roma

8 settembre 2023

COMUNICATO STAMPA

Saranno premiati i migliori elaborati nelle sezioniServizi radio-televisivi; articoli su agenzie di stampa, quotidiani e periodici; servizi, articoli, podcast e multimediali sul web

ROMA – Si terrà il 26 settembre a Roma, la manifestazione finale della VII edizione del Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia per la comunicazione sociale. L’evento si svolgerà nell’Aula Magna dell’Università Lumsa, promotrice del concorso insieme all’Ordine dei Giornalisti e alla Fondazione Alessandra Bisceglia. Il Premio è dedicato alla memoria di Alessandra Bisceglia, giovane giornalista lucana scomparsa prematuramente il 3 settembre di 15 anni fa, in seguito ad una malformazione vascolare rarissima. Saranno premiati i migliori elaborati nelle sezioni “Servizi radio-televisivi; articoli su agenzie di stampa, quotidiani e periodici; servizi, articoli, podcast e multimediali sul web”. La premiazione sarà preceduta da un corso-convegno, con inizio alle ore 15 circa, dal titolo “Il giornalismo e le grandi paure. I media tra allarmismo e corretta informazione”, che consentirà ai giornalisti partecipanti di ottenere crediti per la formazione continua. I vincitori e i riconoscimenti speciali nella seconda parte della serata, che inizierà intorno alle 18.30. Numerosi e di spessore i relatori che interverranno al convegno e alla premiazione finale.

Intervista a Giacomo Puletti

1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?

Credo di sì. Certo ci sono tanti altri modi per sensibilizzare le persone, in primis i principali mezzi d’informazione, ma anche un Premio giornalistico, per di più con un seguito piuttosto importante, può contribuire a tale risultato. 

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Tra i più recenti, mi ha colpito il racconto dell’alluvione in Romagna. Sono partito volontario pochi giorni dopo i fatti e trovandomi lì non ho potuto fare a meno di raccontare lo scenario di smarrimento, desolazione e in certi casi vera e propria distruzione di quanto costruito in una vita intera. Ma al tempo stesso anche la grande forza d’animo della gente e la solidarietà delle centinaia di ragazzi e ragazze impegnati nel sostegno alle popolazioni colpite. 

3. È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?

Penso proprio di sì. È chiaro che quando si raccontano episodi, scene o storie di sofferenza entra in gioco anche una certa dose di emotività e di empatia, ma l’oggettività è parte integrante ed essenziale del racconto giornalistico, e di questo va tenuto conto anche nelle situazioni appena citate. 

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle

testate?

Purtroppo non come dovrebbe ma in alcuni casi sì, specialmente durante eventi che catalizzano l’attenzione del pubblico e sono affini a certi temi, penso al Meeting di Rimini o alle iniziative della Comunità di Sant’Egidio.

5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?

Una notizia è di per sé un fatto nuovo, quindi sì. 

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi

pubblici?

Mi sforzo di credere che siano ancora servizi pubblici. Per forza di cose sono anche prodotti commerciali, penso ai ricavi pubblicitari con cui vivono i giornali o al marketing che ruota attorno a prodotti moderni come podcast o eventi live, ma penso che ognuna di queste tipologie di fare informazione debba essere comunque spinta dalla necessità di fare servizio pubblico.  

7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?

Non solo è possibile, è necessario. Purtroppo in Italia, penso per una questione di indole e culture latine, e quindi “calde”, tendiamo a vivere tutto, comprese le notizie, in maniera totalizzante, sia in positivo che in negativo. Ma l’allarmismo non porta da nessuna parte, e di conseguenza soprattutto trattando tematiche sensibili occorre equilibrio, rigore e attinenza ai fatti. 

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Attraverso la scuola di giornalismo di Urbino, che ho frequentato, e che ogni anno invia agli ex allievi il bando di concorso. 

Intervista a Viviana Minervini

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?

Qualsiasi iniziativa possa sensibilizzare su tematiche così delicate, ben vengano. Perché aiutano a guardare le storie, le persone, da prospettive diverse, nuove, che non avevamo considerato. Questo può portare ad impegnarsi ancora di più e meglio nell’attività giornalistica e dell’informazione.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Sarebbe banale dire che ci sono tante storie che mi hanno segnata, scrivendo (ahimè) spesso di cronaca nera. E sono tanti gli occhi, i volti, gli sguardi, che rimangono dentro e pesano come macigni. Specie di chi non c’è più. Pensando strettamente a storie riguardanti persone con diversabilità, mi torna in mente un pomeriggio di tanti anni fa passato a casa di Francesca e Domenico, una giovane coppia di Valenzano. Al loro piccolo Paolo fu diagnosticata la Sma di tipo1, quasi subito dopo la nascita, patologia scoperta per caso e che, se scoperta per tempo, è persino curabile. Tanto che la nostra Regione, dopo i numerosi casi e le battaglie politiche, ora ha uno screening neonatale superesteso per individuare fino a 61 malattie rare per assicurare cure tempestive. Quel pomeriggio vedere con quanta abilità quella mamma, che aveva poco più della mia età, era diventata un’infermiera provetta per il suo Paolo, muovendo abilmente macchinari, tubi, pur mantenendo uno sguardo dolcissimo sul bambino che le stringeva forte la mano, mi ha fatto sentire fragile e piccola piccola, davanti alla potenza dell’amore. Che riesce davvero a smuovere montagne e a far diventare qualsiasi peso un po’ più leggero.

3.  È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?

   Certamente. È necessario mantenere la lucidità: offrire non solo spaccati di vita vera, vissuta, di dolore o di gioia, ma anche tenere dritta la rotta dell’oggettività. Delle carte, dei documenti, della verifica. Lo dobbiamo ai nostri lettori che, altrimenti, potrebbero legger tutto sui social, senza acquistare i giornali.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Parlare, genericamente, di “testate” rende la forbice troppo ampia. Certamente c’è più attenzione e si è sviluppata una certa sensibilità su alcune tematiche. Ci sono anche tanti docenti e professionisti di settore che offrono il loro contributo anche attraverso poadcast, video, facendo informazione. Si è a buon punto, occorre non mollare.

5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?

Per raccontare notizie sempre nuove, bisogna fare memoria. Una cosa non può prescindere l’altra. Certo, è necessario dare al lettore/ascoltatore informazioni sempre nuove, verificate e attendibili.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Il servizio pubblico, lo fa la tv di Stato, le agenzie. Le testate locali, le emittenti, sono aziende e si possono ANCHE trovare prodotti commerciali o articoli “acchiappa like”. Magari si può non condividere, ma non basterebbe un’intervista per affrontare un tema così complesso.

7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?

Come ho già detto, l’allarmismo si crea se non si verifica. Se non ci si informa se, dunque, da parte di chi scrive non c’è la curiosità di voler comprendere. Se ci fidiamo del primo che passa e ci dice che gli asini volano, beh sì, si creano allarmismi. Quindi si può fare informazione su tematiche sensibili avendo dalla propria parte curiosità, voglia di conoscenza e di verità.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Grazie all’Ordine dei giornalisti che invia newsletter costantemente.

Intervista ad Andrea Caruso

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?

Certamente. Può dare nuova o ulteriore visibilità a storie e problemi, può stimolare il confronto tra colleghi giornalisti per produrre altri approfondimenti o andare alla ricerca di altre storie. La storia di Alessandra Bisceglia e la tradizione del premio a lei dedicato possono fare da cassa di risonanza per il giornalismo e la comunicazione sociale

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Todi. Avevo iniziato da poco la Scuola di Giornalismo a Perugia e andai con una collega al centro dove vengono accolte e curate persone con disturbi del comportamento alimentare. Fu un’esperienza emotivamente molto forte.

3. È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?

Non c’è oggettività, laddove c’è sofferenza. Se invece per ‘oggettività’ intendiamo un certo distacco del giornalista, allora non solo si può, ma si deve, se intendiamo svolgere al meglio e con professionalità il nostro mestiere. Ma anche in questo caso, secondo me serve sempre equilibrio: non bisogna lasciarsi trascinare e coinvolgere troppo emotivamente dalle storie, né eccedere in freddezza. Empatia, tatto e sensibilità sono utili per rendere il racconto più efficace.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Potrebbe averne di più.

5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?

No, anzi. Tornare su storie vecchie, seguirne gli sviluppi e aggiornarle è altrettanto utile.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Dipende dalle testate. In generale, trovo che fatica a passare il messaggio che l’informazione, dal lato di chi la fa è sempre un po’ un servizio pubblico, mentre dal lato dei cittadini è un diritto/dovere. La conseguenza è che il valore percepito del lavoro giornalistico è bassissimo, dunque la remunerazione economica è spesso indegna; ciò mette a repentaglio l’indipendenza e l’autonomia del giornalista e a un livello più alto della testata, obbligata magari a perseguire logiche e strategie più puramente commerciali.

7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?

Anche qui, non solo si può, ma si deve, se si persegue l’ideale di fare corretta informazione.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

L’ho conosciuto tanti anni fa, credo attraverso segnalazioni sul sito dell’Ordine dei Giornalisti o della Federazione Nazionale della Stampa ma fino allo scorso anno, non ritenevo di avere mai avuto dei servizi ‘spendibili’ da candidare. Sono contento di parteciparvi per la seconda volta.

Intervista a Dario Vito

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?

.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Quella per la quale ho deciso d’inviare la mia candidatura: l’intervista a un ragazzo trapiantato di cuore.

3. È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?

No, impossibile.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Non sempre.

5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?

In generale sì, ma non necessariamente le notizie datate perdono d’attualità.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Entrambe le cose.

7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?

Certo, usando responsabilità.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Attraverso un invito da parte della Scuola di giornalismo di Napoli.

Intervista ad Alessandra Lanza

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?
    Può sicuramente contribuire, con la giusta comunicazione e scegliendo di
    premiare storie delle quali traspaia non solo l’aspetto straordinario, ma anche
    e soprattutto quello quotidiano.
  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
    A segnarmi, più di altre, c’è stata la storia di Mohammed “Momo” Baidi, che
    ho conosciuto una decina di anni fa tra le mura della mia università dove
    all’epoca frequentavo la Scuola di Giornalismo. Mi raccontò delle sue
    difficoltà nel riuscire a muoversi nella città di Milano, che fosse per venire a
    seguire le lezioni o per fare cose che per i suoi coetanei erano più che
    scontate, come andare al bar con gli amici, o fare un giro in centro. All’epoca
    nella sua voce c’era molta rabbia. Oggi invece, anche grazie alla disciplina
    sportiva che pratica insieme ad altri ragazzi con disabilità, l’hockey, è riuscito
    ad accettare la propria condizione, superando quelli che riteneva semplici
    limiti e trasformandoli in qualcos’altro.
  2. È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?
    È difficile, perché la sofferenza degli altri ci tocca e ci muove, suscitando
    quell’empatia che ognuno di noi possiede in diversi livelli. Tuttavia, senza
    pretendere di affrontare il racconto come degli automi o un’intelligenza
    artificiale ben addestrata, è anche possibile affidarsi ai propri principi
    professionali per utilizzare la giusta distanza che permetta di non perdere
    l’oggettività che richiede il racconto. In generale, comunque, nessun racconto
    può essere al 100% obiettivo.
  3. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?
    Non su tutte nel modo giusto. Spesso in quelle più generaliste argomenti
    come questi vengono trattati con superficialità, oppure sensazionalismo,
    andando a pescare quelle storie di cui viene calcato l’aspetto eccezionale,
    che le allontana dal corretto inserimento inclusivo della società.
  4. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?
    La novità è un criterio che fa parte del racconto giornalistico, che, inquadrata,
    permette di dipingere la realtà e i suoi continui cambiamenti, ed è compito del
    giornalista veicolarla. A volte però l’ambizione (o la necessità editoriale) di
    arrivare per primi su qualcosa crea degli squilibri, e va tenuto in conto. La
    cosa fondamentale è che si può trovare un nuovo risvolto anche in storie che
    apparentemente non lo sono, rintracciandone i piccoli cambiamenti o quegli
    aspetti costantemente riattualizzabili perché estremamente quotidiani.
  5. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
    Dipende. Esistono testate di ogni tipo: alcune mantengono ancora una
    vocazione di servizio pubblico, con difficoltà e impegno. Tante altre, non
    sempre ed esclusivamente per lucro, ma a volte anche per motivi di
    sopravvivenza, vi hanno rinunciato, o lo hanno messo in secondo piano,
    prediligendo storie che possano vendere i prodotti che popolano le pagine, o
    il media stesso, creando interazioni ed engagement.
  6. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?
    Sì, ed è meno complesso di quanto si pensi e si riscontri effettivamente nei
    media. Purtroppo la creazione di interazioni ed engagement sopra citate
    diventano spesso l’obiettivo principale di molti media, che cavalcano quindi le
    notizie con una volontà di sensazionalismo che non fa bene alle storie, ai
    suoi protagonisti e alla comunità che le riceve. Tuttavia, tenendo sempre
    bene a mente i principi del giornalismo, la deontologia e soprattutto anche la
    propria etica personale, è possibile trattare queste tematiche in modo
    corretto.
  7. Come sei venuto a conoscenza del Premio?
    Su segnalazione di un collega.

Intervista ad Alessia Rabbai

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?

Un Premio Giornalistico è sicuramente un buon strumento per sensibilizzare l’opinione pubblica in merito alla comunicazione sociale. Serve soprattutto ad incentivare e sensibilizzare ‘gli addetti ai lavori’ a trattare tematiche di questo genere, con particolare attenzione e con diversi linguaggi a seconda dei target. Creando dei contenuti di qualità con notizie verificate raccontando le storie delle persone si può fare un’informazione che arrivi ad un pubblico non solo specifico e di settore, ma anche generalista.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Il caso che ho raccontato che mi ha segnato di più è stata la storia di una nonna che cresce la nipote orfana di madre vittima di femminicidio. Abbiamo raccontato la storia mantenendo la nonna anonima per tutelare la minorenne, uno dei risvolti più drammatici di questi episodi è che oltre al dramma del femminicidio c’è quello degli orfani che restano senza uno o tutti e due i genitori. In questo caso la donna è stata uccisa dal compagno che si è poi suicidato.

3. È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?

È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività se non si trascende nel sensazionalismo e se c’è sempre il rispetto della dignità dell’intervistato.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Sì, la Comunicazione Sociale trova spazio tra le testate giornalistiche, ma ne servirebbe ancora di più, proprio per sensibilizzare i lettori con contenuti di qualità.

5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?

Sì, secondo me bisogna raccontare notizie sempre nuove, che vadano al passo con le esigenze, le sfide e i dubbi che ci pone davanti la società.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Spesso purtroppo oggi le testate sono prodotti commerciali, attente alle entrate, dovrebbero fare maggiore attenzione alla qualità dei servizi che propongono.

7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?

È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi facendo affidamento sulle fonti attendibili, scientifiche, sui dati, utilizzando un linguaggio che non punti al sensazionalismo.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sono venuta a conoscenza del Premio attraverso una mia collega di Fanpage.it che me ne ha parlato.

Intervista a Luca Pons

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?


Penso di sì. Un premio giornalistico non solo stimola l’attenzione dei professionisti dell’informazione – soprattutto i più giovani – attorno a un certo tema, ma dà la possibilità anche al pubblico di conoscerlo meglio. Raccogliendo lavori diversi, sia per formato sia per argomento, diventa un contenitore e arricchisce il dibattito su un tema come i diritti delle persone con disabilità. Un tema specifico, sì, ma che grazie ai lavori in concorso viene approfondito da molti punti di vista. Così mostra tutta la sua profondità, varietà e anche universalità.

2.Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Nell’articolo che ho inviato per il concorso approfondisco una realtà che prima conoscevo poco: la legge sul Dopo di noi, le associazioni che hanno combattuto per ottenerla e che lavorano per mantenerla viva. Sono tante le storie che ho sentito, parlando con i rappresentanti di queste associazioni: famiglie mosse dalla sincera angoscia di dover condannare i propri figli o figlie a vivere la propria vita in strutture di cura che ne avrebbero impedito lo sviluppo personale e, in sintesi, la felicità. E poi la storia di come queste famiglie si sono messe insieme per far valere la propria voce, e come dopo anni questo ha dato frutto con una legge. La storia delle associazioni che raccolgono gli effetti positivi di questa legge, e ogni giorno aiutano decine di persone nel loro percorso di vita. Nell’articolo, poi, ho analizzato anche l’altra parte della storia: quella dei limiti burocratici e amministrativi che mettono a rischio la legge sul Dopo di noi.

3. È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?

È necessario. Personalmente, credo che l’oggettività – o perlomeno l’onestà – sia un elemento imprescindibile per riportare soprattutto le situazioni di sofferenza. Certo, oggettività non significa equidistanza a tutti i costi. Il racconto giornalistico ha il potere di dare spazio a voci di persone marginalizzate: è loro diritto esprimere la sofferenza, in modo ovviamente personale e soggettivo. È dovere del giornalista dare loro lo spazio che meritano. Ma la voce del cronista non può mescolarsi alla loro e perdere ogni distinzione. Altrimenti, a mio parere, un lavoro giornalistico perde la sua misura di notizia e racconto, e diventa pura piattaforma. Che è un’attività nobile, ma separata.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Dipende dalle testate, ma se si parla di quelle più seguite, purtroppo, lo spazio tende a essere limitato. Personalmente mi occupo di politica, ma lo stesso concetto si applica alla cronaca e ad altre sezioni di una testata, specialmente di tiratura nazionale. È facile cadere in automatismi che valorizzano il traffico e la sensazionalità, invece di dare il giusto spazio alle storie che meritano di avere diffusione, anche nell’ambito della comunicazione sociale.

5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?

Penso che qui la risposta più classica sia “no, nel giornalismo ci deve essere spazio anche per approfondire e per dare rilevanza a storie significative che non sono una notizia in sé e per sé”. Che è vero. Propongo però anche un ragionamento opposto: cos’è una notizia? Bisogna raccontare notizie nuove, perché raccontare solo cose già note a chiunque non avrebbe senso. Ma rendere nota una storia di comunicazione sociale, che permette di conoscere una realtà prima ignorata o di leggere la realtà in modo diverso, è dare una notizia eccome.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Secondo me oggi sono, come sono sempre state, entrambe le cose. Dalla natura commerciale del giornalismo non si scappa o quasi: è nato come un mestiere e come un’industria, che per andare avanti ha bisogno non solo di professionisti ma anche, va detto, di soldi. Lo Stato o chi per esso può intervenire, con fondi pubblici, per garantire che non abbiano spazio solo le realtà con un successo commerciale. Questo è un tema rilevante. Secondo me però la natura commerciale del giornalismo non va demonizzata: va compresa, e al suo interno bisogna capire come si può premiare chi fa un buon servizio pubblico con il suo lavoro.

7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?

Credo di sì, e si ritorna al discorso degli automatismi che valorizzano traffico e sensazionalità. Serve uno sforzo cosciente per uscirne. Per dare, ad esempio, un titolo che attira l’attenzione perché è informativo e risponde a una domanda, ma non perché attiva una paura o un allarme in chi legge. Per fare uno sforzo di verifica in più, evidenziare anche l’aspetto più “tranquillizzante” di una tematica. L’equilibrio esiste e ci sono molte realtà che lo testimoniano. Ma serve uno sforzo.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Non è la prima volta che partecipo, ma la prima volta me ne hanno parlato alcuni conoscenti che lavorano nell’ambiente. Appena ho saputo la tematica del premio,

Intervista a Giuseppe Nuzzi

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?

Certamente: spesso si ha la convinzione che argomenti troppo specifici non possano trovare spazio all’interno di un pubblico vasto e generalista, ma credo sia una concezione sbagliata. Con un giusto tipo di narrazione (che sia appunto un racconto e non una fredda esposizione dei fatti) anche temi di questo tipo possono diventare più facilmente comunicabili e, quindi, sensibilizzare l’opinione pubblica.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Ammetto di avere un’esperienza limitata nel campo, ma la storia che ho raccontato nell’articolo presentato per questo Premio mi ha colpito: basta davvero poco per creare un ambiente sicuro per tutte e tutti e, soprattutto, per dare vita a un progetto che coinvolga anche realtà difficili. Performattivə – il nome del gruppo di ricerca teatrale di cui parlo – è formato da diversi membri della comunità queer di Bologna ed è ora ospitato nei locali del condominio sociale di Piazza Grande, uno spazio che punta a reinserire nella società persone dal passato complesso.

3. È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?

Parto dal presupposto che, per mia convinzione personale, l’oggettività nel giornalismo è un mito che andrebbe sfatato. Il che, ovviamente, non vuol dire prendersi la facoltà di scostarsi dalla verità dei fatti. La sofferenza è un tema particolarmente delicato, che spesso viene anche spettacolarizzato dalle testate proprio perché è un argomento che può fare leva sull’interesse del pubblico. Occorrerebbe invece avere uno sguardo che sappia abbracciare la sofferenza, per raccontare ciò che può e deve essere raccontato e tralasciare il superfluo. Anche a costo di rimanere in silenzio.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

L’impressione è che, soprattutto negli ultimi tempi, le testate generaliste preferiscano altri temi (la politica, per esempio): argomenti di nicchia hanno spazi più limitati. Il discorso varia se si sfogliano giornali o riviste del settore, dove ovviamente anche la comunicazione sociale può avere lo spazio che merita.

5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?

Anche questo è un mito che andrebbe sfatato: siamo costantemente bombardati di notizie e oggi il concetto di “nuovo” è decisamente da circoscrivere – o perlomeno da ridefinire. Sono quindi convinto che sia possibile fare giornalismo anche con notizie già date, che vengano però approfondite a dovere: il giornale deve saper dare un “di più” al suo lettore rispetto alla notizia nuda e cruda. E allora sì al fact-checking, all’approfondimento, al data journalism.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Anche qui dipende dalle testate. Molte sono ancora servizi pubblici – anche se, alle volte, è comunque percepibile una certa “essenza commerciale”, perlomeno in alcune pagine. Altre, invece, sono decisamente più capziose e tendenziose e faticherei a definirle “servizio pubblico” – a meno che, ovviamente, non si parli di un pubblico ben specifico, anche a livello politico.

7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?

Non solo è possibile ma è anzi doveroso: l’allarmismo va a braccetto con il clickbait. Ciò che crea allarme o scalpore vende, anche a costo della qualità e della correttezza dell’informazione. Soprattutto durante la prima fase della pandemia c’è stato un certo allarmismo anche da parte dei giornalisti (non tanto nei contenuti in sé, quanto nel modo di raccontare i fatti). Questo può contribuire ad allontanare numerosi lettori e lettrici, che sentono per l’ennesima volta i giornali gridare “al lupo”. Una cattiva comunicazione può avere l’effetto contrario a quello voluto, creando disinteresse o paura anziché consapevolezza sul tema.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Grazie a una duplice occasione: una email inviata alla segreteria del Master di Giornalismo di Bologna e il suggerimento di una dei nostri tutor giornalisti.