Intervista a Giulia Dallagiovanna

Giulia Dallagiovanna si occupa di salute Ohga.it, un magazine attento all’informazione scientifica autorevole e di qualità. Ci è arrivata dopo una laurea in Lingue e Letterature Europee e Americane all’Università di Pavia e un master alla Scuola di Giornalismo Walter Tobagi di Milano. Ha scritto per TgCom24.it e The Post Internazionale. Adesso approfondisce argomenti di medicina e alimentazione, cercando di integrare le storie delle singole persone con la spiegazione di uno specialista (e viceversa), in modo che chi legge possa farsi un’idea completa e concreta di cosa significhi convivere con malattie poco conosciute, quando non addirittura rare.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

 Sì, sicuramente è una sfida. Non tanto perché il tema è particolarmente specifico, quanto più perché non è semplice raccontare storie di persone affette da malattie rare cercando di comunicare cosa significhi conviverci ogni giorno, cosa provino al di là di qualsiasi pietismo e quali siano i loro reali bisogni. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

 Sicuramente le storie contenute in questo articolo (Una vita di infezioni e ricoveri: la sindrome da Iper IgM e uno studio italiano che dà speranza) mi hanno segnato. Bambini che assumono farmaci quasi quotidianamente e fin dai primi anni di vita, madri che convivono con una terribile domanda “potrebbe essere colpa mia?”, e la consapevolezza che, nei casi più gravi, l’aspettativa di vita potrebbe rivelarsi davvero molto breve. Ma sicuramente quello che più mi ha colpito è stata la dignità e la totale assenza di lamentele con la quale queste due famiglie hanno affrontato e continuano ad affrontare una simile esperienza.  

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Quando si parla di questi argomenti, credo che oggetto di informazione debba essere la malattia in sé: il fatto che esista prima di tutto e poi un esempio concreto di cosa significhi doverci avere a che fare tutti i giorni. É la ragione per cui su Ohga uniamo sempre la voce di uno o più specialisti a quella dei pazienti. Solo così il lettore può rendersi davvero conto di tutto ciò che comporta una diagnosi di malattia rara.  

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

 Credo che la comunicazione sociale esista e si sia ritagliata uno spazio sulle testate giornalistiche. Ma non è detto che venga sempre portata avanti nel modo migliore. A volte si utilizzano le storie per toccare la parte più emotiva del lettore, con il rischio che si finisca quasi per raccontare una favola, più o meno a lieto fine. Inoltre, la comunicazione sociale deve un po’ sgomitare per farsi spazio tra tutte le altre notizie e gli altri argomenti di una singola testata. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

I Mass Media possono avere un effetto positivo, perché possono fungere come cassa di risonanza proprio per storie o problematiche che altrimenti rischierebbero di non riscuotere sufficiente attenzione. Come ho detto prima, però, il rischio è quello di puntare più sulle emozioni che un racconto o una notizia possono risvegliare, piuttosto che sul problema in sé.  

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione? 

Credo che sia molto importante trovarle, le parole giuste. E che queste dovrebbero adattarsi sempre alla storia o al contesto che vanno a descrivere. Non credo esista una sorta di glossario da seguire, ma sicuramente ci sono termini di cui si tende ad abusare. Un esempio è sicuramente “eroe”. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove? 

Quando si parla di notizie vere e proprie, e quindi di attualità, sì, credo che debbano essere nuove. Ciò non toglie però che non si dovrebbe rincorrere la notizia a scapito del contenuto. E quindi è meglio lasciar passare un giorno in più, ma raccontare meglio un avvenimento, piuttosto che avere fretta di pubblicare e rischiare di risultare troppo superficiali. Purtroppo, non sempre è possibile ragionare in questo modo. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici? 

Secondo me le testate sono e devono continuare a essere servizi pubblici. Purtroppo, però, la logica di mercato esiste anche in questo settore e la necessità di fare numeri a volte può offuscare quella di pubblicare contenuti di qualità.  

  1. Che significa essere un buon giornalista? 

Difficile rispondere a questa domanda. Mi hanno sempre detto che essere un buon giornalista significhi sapersi fare e saper porre le giuste domande. Sono d’accordo con questa affermazione e credo, in generale, che un buon giornalista sia chi guarda a un fatto e si fermi un attimo a riflettere, per saper trovare la giusta distanza con la quale raccontarlo.  

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

 Conoscevo già il Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia, perché avevo incrociato il bando qualche volta senza mai partecipare. L’ho conosciuto inoltre attraverso la mia collega, Sara Del Dot, che lo scorso anno ha partecipato.

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